ANNO 1648. 511 » gabinetti de' principi, officine sempre fatali e sospette. So, che non » c’ è peggior genere di servitù che l’esser esposti alla discrezione » di tutti. Per questo, padri, scuotete da voi quel barlume che vi » offusca co’ falsi raggi di più falsa costanza ; svegliatevi dal nocivo » letargo di vane speranze, procurate con la pace la salute dello sla-» lo, la quiete vostra, l’interesse de’ posteri, perche non consiste in » Candia sola il destino della repubblica. » Lo storico Darù, con una logica del tutto sua, vuol far credere propensione del governo veneziano ciò eh’ era semplice e mero progetto di alcuni del consiglio dycale, le cui ragioni esponeva il Gus-soni col discorso testé recato ; ed insistendo sulle fallaci e calunniose considerazioni circa lo slato della repubblica nelle avversità di questa guerra, continua a dire : « Non faccia adunque maravi-» glia se con questa disposizione dello spirito pubblico il governo » indirizzò i pensieri a metter fine a quella guerra tanto dispendiosa » coll’ abbandonare la colonia che n’ era 1’ argomento. » Chi propone i propri progetti ad un consesso deliberante, acciocché siano discussi, potrà mai dirsi il governo ? Il Gussoni ed allri due o tre savii del collegio, i quali indirizzarono i pensieri a metter fine a quella guerra, costituivano forse il governo ? Eppure così ragiona il Darù. Ed invece il governo, il quale consisteva nell’ autorità del senato, anziché indirizzarvi i pensieri, ne rigettò il progetto : e lo rigettò a pieni voli, per le ragioni, che agli argomenti del Gussoni oppose il senatore, il quale era pur savio anch’ egli del collegio, Giovanni Pesaro. Montato sulla bigoncia parlò così: « Dopo quat-» tr’anni, da che la frode, più che la forza, ruppe la guerra, è an-» cora lecito parlar di Candia; perchè vive quel regno, e la sua » corona sussiste ancora sul capo della repubblica. Dileguiamo di » grazia i vani timori e con cuore tranquillo divisiamo de’ comuni » pericoli e delle nostre speranze. Io non nego la forza dell’ imperio » de’ turchi e conosco pur troppo per flagello del cielo la prospe-» rilà, con cui ha la casa degli ottomani ingojato la più florida » parte del mondo. Ma pur discerno, che la macchina sotto il suo