90 Mimo xvii, capo xxviii. e di ogni altro schifoso animale; ed essendo loro venuti meno anche colesti cibi, facevano bollire le pelli dei loro scudi e gli altri quoiami, clic potevano trovare, e dopo di averli cosi mollificali se li mangiavano. Ma queste materie ancora venivano a consumarsi, sicché non trovando più verun mezzo, per cui provvedere alla misera vita loro, vedevano sempre più imperiosa la necessità di darsi ai veneziani. Vollero per altro, prima di venire a lanlo avvilimento, tentare uno scampo, nella fiducia di essere coadiuvali dai malcontenti militi dell’ esercito veneziano. Perciò armarono in Chioggia d’ intorno a ottanta barchette, le quali s’erano fabbricate a bella posta, e, raccolto insieme il meglio di oro e di argenti che avevano potuto trovarvi, uscirono con esse di nolle tempo per le paludi e cercarono per quegli occulli e inusitati canali di ottenere uno scampo. Ma parecchi barcajuoli chioggiotti, i quali stavano attenti ai loro movimenti ed avevano udito ogni cosa e sospiravano il momento, che quegli ospiti importuni partissero dalla loro città, li seguitarono anch’essi colle loro barche leggere, e quando li videro tutti in grande convoglio inoltrati nelle maremme c nei paludi incominciarono a mandar voci e romori sino al campo dei veneziani ; sicché Carlo Zeno accortosi del fatto, chiamò i soldati all’ armi ed impetuosamente gli spinse ad inseguire i fuggitivi. Quindi, postosi egli stesso alla testa, corse insino alle paludi ed entrò sino al petto nel-1’ acqua e nel fango. Il quale esempio di coraggio animò tulle le genli per guisa, che, dimenticate le lagnanze di prima, e quasiché nulla fosse avvenuto, io seguitarono prontamente, cd a gara si scagliarono addosso ai nemici, i quali non avendo più luogo a salvarsi o a difendersi, caddero quasi tulli colle loro barche e colle loro robe in potere di Carlo. La preda di quel giorno fu sì grande che mai non se n era fatta la maggiore; nè sino a notte buja si lasciò cosa alcuna che servir potesse ad accrescere la vittoria e la preda.