102 LIBRO XVII, CAPO XXXI. Roberto da Recanati: il quale, benché con l’uno o l’altro pretesto cercasse di temporeggiare, quasi presago di ciò che stavagli per accadere, alla fine gli si presentò dinanzi. Giunto ch’egli fu, lo fece sedere al suo fianco, acciocché fosse veduto più facilmente da tutti; poi, mostrandolo a dito, lo manifestò per colui, ch’era il capo della congiura, e che aveva nell’ esercito molti altri proseliti, i quali avrebbe a più opportuno momento nominali. E poiché Roberto negava ogni cosa, lo Zeno fece venire dinanzi alla radunanza quel soldato, da cui aveva avuto notizia di lutto, e gli comandò di narrare di punto in punto ciò eh’ egli aveva udito e veduto. 11 traditore allora trovandosi scoperto, senza scusa né scampo, levò forte la voce, per suscitare rumori, nella fiducia di essere secondalo dai colleglli del suo tradimento : ma indarno, perchè i soldati prontamente gli posero un bavaglio nella bocca e lo costrinsero a tacere. In un batter d’occhio fu in arme la cavalleria ; e Carlo, per evitare una tumultuosa sommossa, fece condurre il colpevole nell’ interno del suo alloggiamento, con pensiero di mandarlo poscia al doge e al Senato. Quindi, chiuse le porle, uscì fuori gridando: Viva san Marco. Viva la repubblica di Venezia. Tutti i militi, eh’ erano rimasti fedeli allo Zeno, fecero eccheggiare 1’ aria di nuove grida, che ripetevano: Viva la repubblica di Venezia. Viva san Marco: ed intanto per tutti gli accampamenti era corsa la voce del tradimento ordito da Roberto, e dell’ imprigionamento di lui. I congiurati, anziché sgomentarsi per lo rovescio, che aveva avuto la loro trama, snudate le spade, corsero ad affrontare i fedeli difensori della repubblica, ed ogni sforzo facevano per dare addosso a Carlo Zeno ed averlo, se fosse stato possibile, nelle loro mani. E già avventavano contro di lui, con un furore indicibile, colpi fierissimi ; e fu tra di loro chi gli diede sul capo sì fortemente, che se non fosse stato protetto dalla celala, che lo copriva, Io avrebbe disteso al suolo.