ANNO 1580. 85 CAPO XXVI. Penuria ilei genovesi assediati. Carlo Zeno ritornò al campo, per disporre ogni cosa a tenore della più esalta disciplina militare. Vide, che nelle sue truppe s’era introdotto il disordine, che taluni dei soldati spontaneamente e di loro capriccio uscivano a quando a quando dalle trinciere ed inol-travansi a provocare i nemici sino sollo i terrapieni, e che di là ritornavano per lo più malconci e feriti. La qual cosa, senza produrre verun vantaggio, noceva anzi all’ esercito, e ne indeboliva a poco a poco le forze. Egli, per impedire cotesli combattimenti irregolari, e volendo, che i danni dell’ assedio fossero totalmente rovesciati sui nemici e che nessuno ne avesse a soffrire 1’ esercito veneziano, fece di notte tempo rizzare una torre di legno, discosta dagli appostamenti dei genovesi quanto é lo spazio di un tiro di balestra, ed intimò severamente ai suoi soldati, che chiunque avesse osalo oltrepassare quel limite, sarebbe punito sull’istante col taglio di un piede. Nè vi fu più alcuno, che si azzardasse a violare quell’ ordine. Una funesta epidemia attaccò poco dopo 1’ esercito dei veneziani, cagionata probabilmente dalla insalubrità dell’ aria in quella disagiata stazione, resa ancor più insalubre dalla quantità delle acque stagnanti, che colle loro esalazioni la impregnano di micidiali vapori. Il quale disastro ritardò alquanto le operazioni militari e produsse gravi angustie, perchè temevasi, che coll’ inoltrarsi della stagione maggior danno ne avesse a derivare. Tuttavolta non tralasciava lo Zeno di condur fuori ogni giorno le genti sue, per attaccare ora un punto ora un altro dell’assediato recinto, all’unico scopo di trarne fuori i genovesi a parziali combattimenti : ed in questi ottenere sopra di loro frequenti vantaggi, massime perchè se li faceva correr dietro, quasi fuggisse; e fuggendo li conduceva