anno 1342. 173 inseguito sino colà, dove non poteva aver più rifugio, uccise di propria mano il suo cavallo, e poscia, consegnando la spada ad un suo servo, pregollo a torgli la vita, per torgli con essa l’obbrobrio del cader vivo in potere degli abborriti oppressori della libertà nazionale. Lo incaricò altresì di portare la sua testa al comandante dell’ esercito veneziano, la quale gli sarebbe stala di difesa a non subire la pena de’ suoi complici, e lo avrebbe fors’ anche colmato di onorevoli ricompense. E il servo ubbidì : e con ciò gl’ insorti deposero le armi e rinunziarono a qualunque speranza di ulteriori progressi ; e vi ricomparve di bel nuovo la calma. Il quale avvenimento fu a quei rivoltosi isolani una buona lezione per conservarla in appresso : preferirono questa, che possedevano, alla desiderata libertà, cui s’ accorsero di non potere mai più riacquistare. D’ altronde i veneziani ne moderarono il governo con tanta dolcezza, che valesse a far loro dimenticare le passate disavventure. I capitani della repubblica, che condussero a termine questa impresa, furono il cavaliere Andrea Morosini, Giustiniano Giustiniani e Nicolò Faliero: 1’ ultimo di essi morì colà di malallia sopravvenutagli. Alcuni cronisti pongono questa sollevazione nell’anno 134 4. CAPO IV. Il doge Andrea Dandolo. Morì nel medesimo anno 1342 l’ottuagenario doge Bartolomeo Gradenigo, il giorno 28 dicembre, e fu sepolto nella basilica di san Marco. Benché con sommo impegno e con paterna cura avesse procurato sempre il bene della città e dello stato, tuttavia il popolo di Venezia non lo amò gran fatto. Della quale avversione potrebbe dirsi motivo la grande carestia di viveri, che sofferse la città in lutto il tempo del principato di lui : e sebbene non ommet-tess’ egli ogni possibile provvedimento per alleviare la miseria del