280 LIBRO XIV, CAPO XXV. » scusarsene fecero chiamar l’ammiraglio, ci gli esposero quello che > il Barbaro voleva. Disse l’ammiraglio secondo che porlava il suo » officio, che quel che domandava era conira le leggi, ne si poteva » far; onde colui risentendosene disse molle parole ingiuriose con-» tra l’ammiraglio, et alterandosi di parole et più sempre crescendo »l'ingiurie et le villanie, alfine il Barbaro diede d’un pugno » su un occhio all’ ammiraglio, et havendo nel dito grosso uno di » quei anelli grandi da marinaro gli rompe anco la pelle, et gli fe’ » venir sangue. lira ammiraglio all’arsenale Stefano Gliiazza, det-» to Gisello, huomo assai stimato tra il popolo, et riputato molto • accorto et persona di gran maneggio, costui vedendosi a questo » modo battuto, corse immediatamente dal doge a querelarsi del- • l’ingiuria che gli era stala falla et disse che la insolcnlia di quei » del Consiglio era venula tanto grande, che la non si poteva più • sopporlare c che per osservar i ordini della casa dell’ arsenal, et » per non permetter che si faccia quel che non si può et non si » deve era stato trattalo a quel modo e rottogli il viso; el che an-» co puochi giorni avanli, Giovanni Dandolo pagador alla camera » dell’ armamento haveva voluto far il medesimo nell’ officio pro-» prio a Bertucci Isarcllo patron di barca o nave, ne per allro che » per non voler tuor un huomo, che il Dandolo gli voleva dar, » contra ogni ragione, per il che lo pregava, che con qualche no-» labile esempio procurasse clic la giustizia avesse il suo luoco et » trovasse rimedio a questi disordini, mettendo fren el facendo • qualche risentita provisione per il bene et per la quiete della cit-» tà, conira l’insolenza pur troppo grande c pur troppo insoppor-» tabile di quelli del Consiglio, i quali, non provedendosi a ciò, ve- • niranno a tanto che i stimeranno come fango et come scoazze » tulli quei del popolo. Ascollò il doge con non puoca alterazione » il parlar di Gisello et poi gli rispose : Che vuoi eh’ io faccia? hai » pur veduto o inteso l' affronto, che vii è stato fatto et insieme la sti-» ma che è stata portata alla persona mia, che pure sono quel che io • sono et che i ha battuto il Sten con la eoa di volpe, che pur meritava,