anno 1379. 449 Gli equipaggi veneziani erano estenuali, gli attrezzi da guerra e le munizioni scemavano, i legni avevano ricevuto danni gravissimi: la lotta diveniva sempre più disuguale. Duemila combattenti erano ormai resi inetti alla pugna. Malgrado 1’ attività e l’esempio del Pisani, la sua linea piegò ; i genovesi con alte grida la incalzarono e con tanta forza, che vi perde quindici galere con tutti i loro equipaggi. Vettore Pisani, vedendo non esservi più speranza di resistere al vittorioso nemico, si pose in salvo colla sua galera a Parcnzo, e con esso si vi rifugiarono anche le due galere comandate da Michele Steno e da Giovanni Trevisan. La perdita dei veneziani fu calcolala di duemila morti e di altri duemila, e forse più, prigionieri, tra i quali tredici capitani. Questi furono mandati a Genova, le galere predate e le ciurme furono condotte a Zara, costrette a servire nella marina genovese. A Parenzo intanto il Pisani tenne consiglio di guerra coi pochi uffi-ziali restatigli, per deliberare sul modo di evitare peggiori inali. Fu deciso di mandar subito Enrico Dandolo con una galera nel-l’Arcipelago ad avvisare le colonie, che se ne stessero in attenzione e che facessero passare a Carlo Zeno la notizia deir avvenuto, acciocché provvedesse alla sua sicurezza. In pari tempo si spedì un uffiziale a Venezia a portarne l’infausta novella ed a chiedere gli ordini del Senato. Quale desolazione spargesse in patria colesto annunzio, egli e ben facile immaginarlo. La severità del governo rovesciò addosso al prode comandante la colpa del funesto disastro : lo chiamò quindi a Venezia a giustificarsene. Giuntovi, anziché trovarvi difesa nello splendore della sua fama, neU’integrità del suo carattere, nella ricordanza delle sue precedenti vittorie, non vi trovò che accusatori indiscreti e maligni. Vi trovò giudici inesorabili, i quali lo processarono, senza ricordarsi, eh’ egli aveva più volte rappresentalo alla Signoria i bisogni della sua fiotta, e ne aveva implorato gli opportuni provvedimenti, ma che questi gli erano stati costantemente negali. Gli avvogadori opinarono per la pena di morte; ina la loro vol. iv. 57