190 LIBRO XIV, CAPO VII. parte lo stile e la norma dei giudici del foro. E quanto all’alienazione dei beni ecclesiastici, era soverchia la licenza che concedevano le antiche leggi ; perciò fu stabilito, che per la validità del-I’ alienazione di essi, oltre all’ assenso del capitolo e dei procuratori di quella tal chiesa, a cui appartenevano, ed oltre all’approvazione del vescovo, fosse necessario 1’ assenso altresì di due terze parti dei cittadini, che avessero possedimenti in quella parrocchia, acciocché rimanesse chiusa ogni via a qualunque frode in danno delle ecclesiastiche proprietà. Ed anche al danno, che derivava all' erario pubblico, per le troppo frequenti donazioni alle chiese, fu provveduto con apposita legge. Imperciocché tutti i beni, che appartenevano a queste, erano immuni da qualunque gravezza o contribuzione allo stato; sicché quanto più la pietà dei donatori, o con atti tra i vivi, o con testamentarie disposizioni, impinguava gli ecclesiastici possedimenti, tanto più diminuiva le rendite dello stato e ne perpetuava il danno, a cagione della legge, che vietava l’alienazione di quei fondi medesimi. Fu perciò stabilito, che, senza violare la volontà dei testatori, né togliere tampoco alle chiese od ai luoghi pii, i beni immobili, disposti a benefizio di pii luoghi, di chiese o di persone ecclesiastiche, di mano in mano che fossero venuti in proprietà dei legatarii, si dovessero tosto vendere, non avuto riguardo veruno alle clausole dei testamenti ; e il prezzo ottenuto da quella vendita fosse di libera ed assoluta proprietà del beneficato. La qual legge aspettò ad incontrare opposizioni ed a cagionare funeste discordie colla corte di Roma soltanto nel principio del secolo XVII, sotto il pontefice Paolo V, dopo che per due secoli e mezzo era stata costantemente in vigore. Quanto alle tutele, devo notare, che tra le aggiunte e riforme all’ antico statuto, fu circoscritta l'età pupillare soltanto sino all'anno XIV compiuto. Sulle doti nuziali fu decretato, che la vadia. secondo il linguaggio forense di allora, ossia, la prova della dote, dovesse verificarsi non più per sola testimonianza di un notaro, come in addietro, ma per mezzo del magistrato del Prvprio, colla