aono 1578. 439 Allora il Visconti si vide coslrelto a chiedere una tregua di quarantacinque giorni : e la ottenne addi 50 settembre. Continuava la guerra nel trivigiano ed era sostenuta da genti del patriarca di Aquileja, del conte di Ceneda e di altri signorotti di quei dintorni. La repubblica aveva raccolto un considerevole corpo di truppe a piedi e a cavallo : di queste aveva dato il comando a Carlo Zeno, imponendogli di tenersi sulla difesa e di contentarsi d'impedire che il nemico avesse vantaggi. Egli marciò adunque colla sua armata nel trivigiano, ove trovò i nemici molto a lui superiori nel numero. Pose perciò ogni sua cura nello scegliere le posizioni più favorevoli, per non trovarsi costretto ad accettare battaglia. Di notte e di giorno sovente gli assaliva ; molti ne faceva prigionieri, assaissimi ne ammazzava. Fatto poi maggior impeto, più volle li metteva in rolla. E siccom’ egli era grandemente esperto in questo modo vantaggioso di fare la guerra, ed i nemici lo erano poco, in venti soli giorni li costrinse ad abbandonare quei luoghi ed a darsi a fuga precipitosa. Carlo Zeno, allora si accinse a combattere alcuni de’ castelli, che si erano sottratti dall’ obbedienza dei veneziani, prima ancora che vi entrassero gli ungheresi; e li ridusse alla primitiva soggezione. In lutti questi differenti combattimenti egli non ebbe altri danni fuorché di essere ferito in una mano. Quanto più prosperavano le sue imprese, tanto più conosceva il senato il merilo ed il valore di lui ; perciò ne accresceva di molti soldati 1’ esercito. Né durò egli lunga fatica a tranquillare le cose della terra ferma ; e sì, che da questo lato la repubblica non ebbe più motivo di temere. Bensì ne aveva moltissimo dalla parte del mare, perché ivi ricominciavano i tumulti e di giorno in giorno crescevano. I genovesi allestivano una grossa flotta ; perciò il governo fu costretto ad accingersi con somma sollecitudine a preparar loro valida resistenza.