202 LIBRO XIV, CAPO X. » puochi stette al passar d’ alcuna persona che poi non morisse » poco tempo driedo, e per paura nessuno prevede ne inunego (1) * no voleva andar a visitar questi amaladi che molti mori senza » penitentia ni senza ricever el corpo di Cristo, e fu questa morta-» litae per tutto el mondo, e si l’havesse cusì durado el mese de » Zugno e de Lugio come la fese el mese de marzo, credo che » saria morti tutti de Venetia che horamai la giera deshabitada e » fu la mortalitae più in li zoveni che in li vecchi, che da 60 anni » in suso puochi glie morì rcspctto alli altri. » Della quale soverchia mortalità, avvenuta per la peste in Venezia piucché altrove, sembra potersi assegnare la cagione, che addusse il cronista Gian Carlo Scivos, cioè, « perchè i venetiani » non havevano fuori in terra ferma case nè possessioni da potersi » retirare, ne anco li vicini li volevano ricevere, et darli ricapito.» Oltre a queste memorie, che ci vennero conservate presso gii antichi scrittori della nostra storia, altre e più sicure e più interessanti ce ne trasmisero i registri autentici e contemporanei della repubblica, e particolarmente il libro Spiritus, ove di giorno in giorno si raccoglievano gli atti e le determinazioni del maggior Consiglio. In esso infatti, seguendo l’ordine progressivo, troviamo le notizie seguenti, le quali varranno a correggere le inesattezze altrui ed a manifestarci con sicurezza la verità. Nel penultimo giorno del marzo 1548, fu decretato di eleggere tre savi, i quali prendessero cura di tutte le precauzioni sanitarie per impedire nel paese la dilatazione del funesto contagio ; e i tre savi eletti a tal fine furono Nicolò Venier, Marco Quirini e Paolo Bellegno. A’3 di aprile il maggior Consiglio destinò due de’cimiteri sunnominati, per seppellirvi i poveri ; ed acciocché, per la moltitudine de’ cadaveri in essi sepolti, non avesse ad infettarsi l’aria vie maggiormente, fu decretato, che, quanto più presto si potesse, venisse (i) Ossia: nessun prete nè monaco.