anno 1353. 247 cogliere il vantaggio del vento, abbordarono con maravigliosa destrezza i legni nemici, ed afferrandoli con rampini, rese loro impossibile, non che la fuga, ogni altra mossa di militare difesa. Il combattimento allora diventò ferocissimo, quale doveva renderlo un’ assoluta disperazione da un Iato, una sete ardente di vendetta dall’altro. I genovesi, per verità, fecero prodigi di valore; ma dovettero alfine soccombere oppressi dallo smisurato numero dei nemici. Trentadue delle loro galere rimasero preda dei vincitori ; furono le altre fracassate o sommerse : il Grimaldi ebbe a somma ventura di potersi salvare colla sua capitana, e portare a Genova egli stesso P annunzio della funestissima sciagura. Quattromila prigionieri rimasero in potere dei vincitori : ma questi, oscurando la gloria della ottenuta vittoria colla ignominia della più feroce vendetta, non vollero nemmeno risparmiar loro la vita : tutti, quanti erano, marinari, ufficiali, soldati, li gettarono barbaramente nel mare. Compiuto questo eccesso di vergognosa crudeltà, le due flotte vincitrici si separarono : quella del re di Aragona si ritirò nei porli della Sardegna, quella di Venezia ritornò in patria. CAPO XX. I genovesi si danno all’ arcivescovo di Milano. La fortuna di Genova aveva mutato in un solo istante. Tutte le sue prosperità erano svanite : un lutto universale era sottentrato in luogo di quelle. Sommersa tutta la sua marina ; esposte tutte le sue colonie alle ostilità degli abborriti rivali; esausto l’erario, ed incapace perciò di porre in piedi un’ altra flotta con cui vendicare I infamia presente. Eppure ciò non di meno non rinunziò alla speranza di ricattarsene : e, sebbene conoscesse di non poterlo fare in veruna guisa da per sé sola, si lusingò di potervi riuscire coll’ altrui assistenza. Tanto infatti era cieca la sua passione, che, piuttosto di umiliarsi ed implorare dai veneziani la pace, preferì di sacrificare