ANNO 1260. 545 cui riferirono l’ambasciala, che il gran Signore de’Tarlari inviava al Pontefice. N’ ebbe maraviglia il legato e parevagli che ciò tornasse a gran bene e a grande onore per la cristianità. E disse ai due fratelli : Signori, vedete eh’ è morto il Pontefice e perciò vi converrà aspettare che il nuovo si elegga ; allora potrete fornire la vostra ambasciata. I due fratelli, annuendo a quanto diceva il legato, risposero che intanto andrebbero a Venezia a rivedere la loro famiglia. Cosi partiti da Acri, veleggiarono a Negroponle, e da Negroponte a Venezia. » Messer Nicolò trovò, che la sua donna era morta e n’ era rimasto un fanciullo di dodici anni per nome Marco, che il padre non avea veduto mai, perchè non era ancor nato quando egli partì: è desso quel Marco di cui parla il libro presente. Messer Nicolò e messer Matteo restarono due anni a Venezia attendendo che seguisse la elezione del nuovo Pontefice. » Fin qui Rusticiano da Pisa. Di questa lunga dimora in Venezia, che fecero i due fratelli, prima di poter proseguire la loro missione, fu motivo la straordinaria vacanza della santa sede. Perché sino al dì 1 settembre del-1’anno 1271 non fu eletto il papa Gregorio X, che successe a Clemente IV, morto nel dì 29 novembre 1268. Fu questa la famosa occasione del conclave tenuto in Viterbo, ove quindici cardinali, che vi si trovavano, lottarono tra loro nelle opinioni per ben due anni e nove mesi ; sicché i viterbesi vennero alla deliberazione di chiuderli sotto buona custodia nel palazzo vescovile della loro città, di scemar loro il villo giornaliero, e persino di scoprire il tello della sala ove gli avevano racchiusi ; acciocché gl incomodi ed i disagii li coslringessero a risolversi alfine ad eleggere un papa (1). E per non lasciare interrotto il racconto incominciato dei due veneziani viaggiatori, lo proseguirò colle parole del medesimo Rusticiano da Pisa; e ciò tanto più di buon grado, perchè si tratta di (i) Ho narrato distesamente questa latto nella storia della Chiesa di Viterbo, nel voi. VI della mia opera sulle Chiese d'itnlia. pag. 120 e seg. vol. 11. 44