ino LIBRO r, CAPO XXVI. Galone ili Dampierre, deila diocesi di Langres, e un altro di Amiens in Picardia : i quali, troppo creduli da un lato alle indicazioni dei greci e poco esperti dall’ altro nelle regole della critica giudiziosa, vantarono tra le loro sacre conquiste non pochi oggetti, di eui o conoscevasi altrove l’esistenza, o non se ne sarebbe potuta giammai accertare la derivazione. E così moltiplicaronsi le reliquie di un medesimo santo, e s’ introdussero diffidenze ed ambiguità nella credenza dei posteri, e si recò non lieve ostacolo alla pietà dei fedeli ed onta gravissima al culto delle sacre reliquie. I capi della spedizione ebbero aneli’ eglino la loro porzione. Non dirò dei francesi ; dirò soltanto del doge Dandolo, che alla storia nostra appartiene. Egli ebbe per sua parte un pezzo della vera Croce, che Costantino soleva far portare dinanzi a sè nelle battaglie : questa la regalò alla repubblica, e tuttora la si conserva nel tesoro della basilica di san Marco. Circa la qual croce v’ ha chi dubita in qual modo potesse trovarsi in Costantinopoli allora, mentre si sa dalla storia, che Saladino se n’ era impadronito nella battaglia di Tiberiade, nè aveva voluto restituirla a Riccardo : nè ciò dovevano ignorare i crociati. Ebbe il Dandolo anche la famosa immagine della Vergine santissima, conosciuta sotto il nome di Ni-copeja ossia vittricc, perciocché nelle vittorie usavano i greci portarla in giro trionfalmente per la città : c questa similmente venne ad arricchire la nostra basilica marciana, ed è 1’ oggetto della più tenera devozione e del più fervido culto di tutti i veneziani. Di essa dovrò parlare più estesamente quando ne ricorderò 1’ arrivo a Venezia. Ebbe inoltre un’ ampolla con alcune stille del sangue del Redentore, ed alcuni corpi santi, di cui altrove mi verrà più opportuna occasione di parlare.