anno 1266. 361 del proprio valore, si scagliarono i veneziani sulla formidabile flotta, che gl’ invitava al conflitto. E inutile, che io mi fermi a descrivere le guerriere mosse di quei navigli, maneggiali da genti esperie in quell’ arie marineresca più che ogni altra nazione : 1’ avvicinarsi scambievole, 1’ urlarsi, il girare or di fianco or di puppa, erano eseguili con una destrezza tutto lor propria : il saettare di Treccie, di quadrello e di ogni altro genere di proiettili era continuo, incalcolabile, funestissimo. Già rosseggiava il mare per la copia del sangue versato ; già spezzati remi, lacere vele, alberi infranti coprivano galleggianti l’ampia superficie del mare : e già cominciano i genovesi a scemare nei lor movimenti la primitiva costanza ; già il furore e lo sdegno nei veneziani s’ accrescono col crescere in loro la speranza della vittoria. Alla fine i genovesi, scoraggiati e malconci, vedonsi obbligati a cercare salvezza, piucché ad insistere nel conflitto. Incalzali con impeto sempre maggiore, o cadono trucidati dalle spade dei nostri, o per cieca disperazione si precipitano ad affogarsi nel mare. I veneziani, ormai vincitori, non sanno più se attendere a impadronirsi dei legni abbandonati e senza difesa, ovvero ad arricchirsi delle spoglie dei lor prigionieri. Rimasero in potere dei Veneziani ventiquattro galere e due mila cinquecento prigionieri : tulio le allre navi dei genovesi perirono, o incenerite dal fuoco o sommerse nel mare, senza che neppur una ne sopravanzasse per arrecare alla patria 1’ infausta novella della memoranda sconfitta. Costò la vittoria molto sangue anche ai veneziani, massime per l’impeto del primo scontro con cui si azzuffarono cogli abborriti rivali : ma 1’ allegrezza del presente e la speranza di futuri avvenimenti gloriosi scemarono di molto la tristezza dei sofferti danni. > OL. II. Ii6