amo 1204. 127 una estensione di una mezza lega. Sulle mura, sui baloardi, sulle alte torri, stavano schierati i greci c ne aspettavano T urto. Incominciò il combattimento con uno scambievole gettare di fuoco, di sassi, di dardi : le navi a poco a poco si accostano alla sponda, gettano i ponti, adattano le scale : le due parti nemiche si azzuffano petto a petto colla spada, coll’ azza, colla lancia : resistono entrambe con uguale vigore ; ina finalmente, in sul declinare del giorno, i latini, soverchiati dalla moltitudine e dall’impeto disperalo dei greci, risolsero prudentemente di ritirarsi. In quella notte medesima, il doge e i baroni tennero consiglio in una chiesa vicina al mare, per discorrere intorno al partilo da prendersi, e, dopo lungo conlrasto, prevalse il parere dei veneziani, di ricominciare 1’ assalto nel luogo e nel modo stesso di prima. Si impiegarono due giorni, per ristaurare le navi e le macchine dai danni, che avevano sofferlo : il terzo giorno, eh’ era il 12 di aprile, rinnovossi l’assalto. I veneziani incatenarono insieme due delle maggiori navi della loro ilolta ; le due, che nominavansi il Pellegrino e il Paradiso ; acciocché ne fosse raddoppiata la forza. Spinto cotesto enorme colosso accanto alle mura di Coslantinopoli, se ne abbassano dalle cime degli alberi i ponti levatoi, e si offre facile il passo ai crociati guerrieri per afferrarne le mura. E infatti, abbassatili appena, il francese d’ Urboise e il veneziano Pietro Alberti gnadagnano una torre, e traggono dietro a sé vincitori una moltitudine di compagni d’ arme. I greci spaventali vi rimangono uccisi o si danno alla fuga : ma nel calor della mischia un francese uccide per ¡sbaglio, credendolo un greco, il veneziano Alberti, che animoso inseguiva il disordinato nemico. Egli stesso per la disperazione sarebbesi ucciso, se non ne fosse stato impedito da suoi colleghi d’ arme. In seguilo furono scalate altre quattro torri ed atterrate tre porle : e allora i cavalieri francesi, che sulle navi non riputavansi troppo sicuri, si credettero invincibili sugli arcioni dei loro cavalli, e poterono a loro agio sul terreno fermo abbandonarsi al proprio