anno 1232. 245 condannavano gli averi del doge al risarcimento dei danni da Ini per avventura recati mentre viveva, non si permetteva che la persona di lui fosse tradotta, per motivi criminali, dinanzi ai magistrati, acciocché non ne derivasse disonore alla dignità, di cui egli era vestito. Nella quale giudicatura di siffatti inquisitori era loro comandato di accogliere le querele degli aggravali; di ammettere perciò presentazione di carte ed esame di testimoni: e la loro facoltà era indipendente da qualunque consiglio. Avverte qui per altro il Ten-tori (1), che * nel decorso de’ tempi con altre saluberrime leggi fu b ordinato, che le sentenze loro, come di mera magistratura, fossero » appellabili agli Avogadori del comune, i quali potessero con In- • immissione, atto a’ medesimi competente, portarle al solo maggior » consiglio per la riprovazione ovvero approvazione, e ciò dentro * lò spazio di mesi quattro, onde non rimanessero deluse le sovra-» ne intenzioni. » L’uffizio degl’ inquisitori non cessava perciò, siccome quello de’correttori, tosto che fosse eletto il nuovo doge, ma continuava quanto avesse potuto occorrere per terminare il processo e comandare l’esecuzione della pena. CAPO X. Magistrato del Petizion e dei Cinque alla pace. Nell’anno dopo, cioè nel 1232, si provvide ad altri bisogni della veneziana legislazione, istituendovi altre due magistrature di mollissima rilevanza. Esse furono con particolar titolo nominate del Petizion e dei Cinque alla pace. E quanto alla prima : non bastando più, a cagione della mol-tipllcità degli affari forensi, le sole magistrature del proprio e del (i) Stor. Ver». *Jb. I„ et.p. Vili, num. \ ili.