282 LIBRO Vili, CAPO I. Parlando altrove delle condizioni e dei patti di sudditanza, stabiliti tra Venezia e le varie città istriane e dalmate, ebbi occasione di nominare anche quello di dover ciascuna di esse somministrare ai veneziani uno o più navigli, ogni qualvolta la repubblica avesse posto in mare una flotta di un tale o tal altro nnmero di navi. Alla città di Pola toccava questa volta somministrarne uno : ma se ne rifiutò. Il Tiepolo, che comandava la flotta, non volle tratlenervisi a costringerla colla forza : si contentò di assoggettarla ad una multa pecuniaria e di demolirle una porzione delle mura, e proseguì il suo viaggio. Giunto nelle acque di Durazzo, ebbe notizia della vittoria dei genovesi, e seppe nel tempo stesso, che Pola s’ era vendicata della pena impostale, col ribellarsi alla repubblica di Venezia. Divenuta inutile per tale notizia la continuazione del suo viaggio ad assistere Genova, e giudicala per lo contrario opportunissima la sua comparsa a Pola, rivolse le prore della sua flotta, e giunse addosso alla ribellala città, senza che quella se Io aspettasse. La pose a ferro e a fuoco ; ne demolì intieramente le mura, e la ridusse alla più la-grimevole condizione : c dopo averne preso sì grave e sì solenne vendetta, proseguì il suo viaggio a Venezia. Ma la ribellione di una cillà ne trasse dietro anche quella di un’ altra. Perchè, non sì tosto il Tiepolo fu colla sua flotta lontano dall* Istria, alzò la lesta la rivoltosa Zara, scacciò il governatore veneziano, eh’ era Giovanni Michele, e si dichiarò ribelle alla repubblica : per la quinta volta, sccondochè notano gli storici ed i cronisti. Della quale ribellione portò il motivo e le circostanze, lo storico della Dalmazia, Tommaso arcidiacono di Spalatro (1); e queste concordano con quanto gli scrittori nostri ci narrano. Gli za-ralini, ormai divenuti possenti in terra e in mare, avevano rinunziato il primitivo loro mestiere di fare i pirati, ed eransi occupali in modo particolare a porre in buon ordine milizie terrestri, coll’ intenzione di scuotere, quando che fosse, il giogo della veneziana sovranità. (.) Nel cap. XI,III.