ANNO 1120. 451 • e con esse le vostre flolte, destinate ad ingrandire la vostra pos-» sanza, trionfino dei comuni nemici e salvino la causa della reli-» gione cristiana. » L’ autorità di un capo, che parla al suo popolo con dignitosa gravità, esortando amichevolmente, senza comandare e senza pregare, è un’ eloquenza assai efficace. 11 discorso del doge commosse vivamente gli animi, e provocò gli applausi e le acclamazioni di tutta 1’ assemblea. Un solo sentimento infiammò ciascheduno; una sola voce da ogni labbro suonava : « Si parta, si corra ad affrontare » il nemico. Voi siateci guida, c noi ci riputeremo felici a combat-» tere e più felici ancora a morire per una causa sì bella. • In pochi giorni fu allestita una flotta di dugento navi, tra grandi e piccole ; il doge in persona ne assunse il comando. Partì dalle lagune, e, prima dì uscire dal golfo, si accostò alla Dalmazia per pigliarvi rinforzi di remiganti e di marinari. Un vento favorevole spinse in breve tempo la flotta all’ isola di Cipro, donde si diresse per Jaffa. Colà i saraceni tenevano colle loro navi attraversato il porto, sicché nessun naviglio vi si potesse introdurre. Esultarono a quella vista i veneziani, che si struggevano di brama di azzuffarsi cogl’ infedeli ; ne assalirono impetuosamente la flotta, la quale ne sostenne con molta fierezza lo scontro. Il combattimento fu lungo e terribile : su tutta la linea i veneziani lanciarono ramponi addosso ai navigli nemici e ne azzardarono 1’ abbordaggio. Incominciò quindi il macello : il valore si vide a conflitto colla ferocia ; il sangue, che scorre d’ ambe le parti, fa rosso il mare per la gran copia ; 1’ aria rimbomba di orrendo frastuono, per lo incontrarsi delle armi, per 1’ urtare dei navigli, per le grida dei combattenti, per gli urli dei moribondi feriti. Durò più di tre ore la zuffa rabbiosa : la vittoria alfine si pronunziò a vantaggio dei veneziani ; i saraceni, indeboliti da tutte ie parti, furono intieramente disfatti : i loro soldati, che non perirono o trucidati o affogati, rimasero prigionieri ; i legni, che non finirono o sconquassali o sommersi, furono preda dei vincitori.