466 un. iv, cap. xvu. perciò non è maraviglia, clic 1’ ostinazione c 1 orgoglio la perpetuassero. Vascelli infranti, sangue sparso, denaro sprecalo erano i frutti eli una guerra incominciata, sostenuta, continuata dalla sola animosità. Intanto il papa Celestino II, che avrebbe cercato ogni maniera d’ inviare soccorso ai crociati della Terra santa, vedeva con sommo cordoglio impegnati in sì feroci discordie due popoli, i quali, uniti in amicizia e fratellanza, avrebbero potuto giovare assai ai bisogni dei fratelli, che combattevano nell’ Asia per una causa più sacra. Egli pertanto esortò, minacciò, fece tarilo, finche ottenne di poter sopire quel fuoco funesto : lo polè sopire bensì, ma non lo spense. Finì quella guerra coll’ astenersi sollanlo dalle ostilità. Ciò avveniva intorno l’anno 1145, oppure il 1144 ; strettissimo spazio, in cui Celestino II occupò la cattedra di san Pietro. CAPO XVII. Guerra coi padovani. Liberato il doge da questa inquietudine, ebbe a provarne un’altra, benché minore di assai, per la parte dei padovani, vicini irrequieti, la cui rivalità cercava sempre nuove occasioni di querele, e per lo più si manifestava con atti di ostilità. Costoro, non sapendo in qual altra guisa recar danno ai veneziani, immaginarono d’interrare le lagune interne, che circondano 1’ odierna città di Venezia, e che ne formano la più forle difesa. Fecero perciò un taglio sul Brenta, dalla parte di sant’ Ilario di Fusina ; sicché, distraile le acque dell’ alveo massimo di quel fiume, i veneziani non lo potessero più navigare, e nel medesimo tempo le sabbie e le feccie del fiume stesso, depositando in più punti delle lagune, potessero col tempo cagionarne un rialzo. Bastò mandare contro quegl’ indiscreti rivali un corpo di