144 LIBRO 11, CAPO V. nella trama ordita contro i dogi Partecipazi ; i veneziani radunarono 1’ assemblea, ed elessero patriarca di Grado il monaco Giovanni, eh’ era abate di san Servilio, detto volgarmente san Servolo. Ma questi, poco dopo, tocco forse da scrupolo circa la legittimità della sua elezione, rinunziò al patriarcato e ripigliò la cocolla di monaco. Anzi la cronaca Sagornina ci fa sapere, eh’ egli si trasferì alla badia di sant’ llario, che tre anni avanti era stata fondala : e sembra, che i Partecipazi medesimi lo provvedessero di cotesta abazia. D’ altronde i veneziani, forse per riguardo ai greci, non elessero altro patriarca di Grado, finché non ebbero sicura notizia della morte di Fortunato. Ed elessero un veneziano ; dopoché una funesta esperienza gli aveva ammaestrati del danno dell’ affidarsi quella dignità ad uno straniero. L’ eletto fu Venerio, cui dissero alcune cronache figliuolo di Basilio Trasmondo, tribuno di Rialto. E qualche anno prima della morie di Fortunato, era morto anche il vescovo di Olivolo ; perchè nell’ 823 si trova innalzato a questa sede Orso Partecipazio, il quale si dice parente della famiglia dei dogi. Fors’ egli fu quello, che alcune cronache nominarono Giusto, e dissero terzo figliuolo del doge Agnello, come poco addietro ho notato (1). Mi venne testé occasione di nominare i due monasteri di san Servilio e di sani’ llario ; né degg’ io qui passar oltre, senz’ aver detto qualche parola sulla loro origine, la quale appartiene a questa medesima età. E benché di quello di san Servilio non abbiasi precisa notizia dell’ anno, in cui fu fondato ; pure sembrò al Gallicciolli di poterlo segnare incominciato circa 1’ 810, dalla pietà del doge Agnello Partecipazio. Io per altro lo crederei alquanto più antico, perchè non mi sembra ragionevole, che nell’819; ossia nove anni dopo la sua fondazione ; fosse ridotto a lanta strettezza di circostanze, da non poter più mantenere i numerosissimi monaci, che lo popolavano, e da dover indurre 1’ abate Giovanni ; quello stesso, (i) Netta pag. ■ 36.