a^o 1172. U79 un monaco alle nozze, perchè non ne restasse estinta la schiatta, abbastanza chiaramente dimostra, che nessuno dei Giustiniani fosse rimasto a casa ; ed è perciò quasi incontrastabile la presunzione, che i cento non fossero (ulti di quella famiglia, ma che vi entrassero a formarne il numero altre persone stipendiate dalla medesima. Si ritorni per un istante agli ambasciatori Ziani e Mastropicro, cui l’imperatore aveva licenziati da Costantinopoli senza neppur volerli vedere. Egli n'ebbe rincrescimento, perché avrebbe voluto, per giunta d’infamia, disonorarne il carattere. Non di meno la sua perfida malignità seppe trovarvi un ripiego, per cui discendere anche a quest’atto abbominevole di vilissima iniquità. Finse d’essere disposto ad accettare nuovamente condizioni di pace, acciocché potesse ristabilirsi la libertà del commercio ; e il doge, troppo credulo, gl’ inviò ambasciatore Enrico Dandolo. L’infelice, appena giunto nell’ imperiale città, fu preso, legato, messo in carcere, ove con infuocati ferri fu privato della luce degli occhi. Ivi non molto dopo mori. CAPO XXII. Assassinio dei doge : Consiglio maggiore. Dopo il disastro orribile della sconfitta di una fiotta si numerosa, un lutto universale si sparse in tutte le isole veneziane. Molte furono le voci, molte le querele, che in quella occasione si sparsero ; e chi ne accusava il doge, e chi lo giustificava. Il governo, per verità, non gli e l’ascrisse a colpa ; bensì il popolo furibondo, il quale dagli avvenimenti suol misurare le azioni e le intenzioni degli uomini, si scagliò sopra di lui, nel mentre, che si recava ad uua pubblica funzione, non lungi dalla chiesa di santo Zaccaria. Correva l’anno 1172, ed era il di 27 maggio. Questo crudele assassinio stimolò i più giudiziosi de’ cittadini a prendere seriamente in esame la politica costituzione dello slato, ed a trovare un mezzo, la quale valesse a reprimere cosi enormi