62 UBRO I, CAPO XI. dormivano. Ma poscia questi, svegliati dal movimento e dall’ affaccendarsi di quei rapaci, si levarono a respingerli, come poterono meglio, in quell’ impreveduta sorpresa c non bene in armi. Ed avrebbero avuto la peggio, se quello strepito non avesse invitato all’ armi la ciurma di altre navi colà d’ appresso ancorate ; sicché i pirati, vedendosi tolti in mezzo, si batterono per alcun poco, ma poscia, risaliti sui loro legni, senza che i veneziani li potessero impedire dal portar seco buona porzione del raccolto bottino, si diedero precipitosamente alla fuga. Molto sangue fu sparso dall’ una parte e dall’ altra. Per lo quale avvenimento non tardarono a far sentire le loro querele i mercatanti danneggiati e i congiunti degli uccisi nella mischia notturna ; e tutte le loro querele si rovesciavano addosso ai tribuni, che, non curanti dell’ interesse nè dei privati nè dell’ intiera nazione, paghi della loro autorità, mancavano ai proprii doveri di vigilanza e di provvidenza per la nazionale prosperità e sicurezza. Da queste lagnanze si passò alle voci sediziose, alle proposte di deporne gli attuali, di abolirne l’ufficio. Fu allora pensiero unanime dei veneti isolani di convocare nella chiesa di Eraclea una generale assemblea, per deliberare circa il riordinamento dello stato, e provvedere a tanti mali interni ed esterni. Dacché la repubblica esisteva, non s’ era mai trattato un affare di sì grande importanza ; non s’era mai veduta un’ assemblea così piena di ogni classe, di ogni ordine di persone. Sino dal principio del solenne radunamento bisbigliavano per ogni angolo di quella cattedrale i lamenti dei mali sofferti ; le invettive contro i tribuni, che n’ erano stati la cagione ; il convincimento della necessità di una riforma nella generale amministrazione dello stato. Stimolato dai cittadini più avveduti e più zelanti del pubblico bene, il patriarca di Grado, che avea nome Cristoforo, venerando vecchio amato e stimato da tutti, assunse a parlare ed a comporre gli spiriti a salutevole deliberazione. Fu il suo discorso così : « Giac-» chè la provvidenza mi ha destinato al doppio uffizio di reggere