113 quella tigre creola immola alla propria avarizia quel misero Fleur de pois, il genero, lo sposo della non men malvagia figliuola ? Chi può tenersi dall’ imprecare, dallo scagliar da sò lunge quel libro, ov’ appare 1’ atroce figura di quell’equivoca contessa, di quell'odiosa Foe-dora, la quale, come l’agnello che si affoga nel latte materno, fa ministri dell’ infelicità, della disperanza, della perdizione del misero Raphael quegli stessi sentimenti che il doveano render beato ? La durezza di quel cuore che nessuna pietà non ispetra, quella insensibil freddezza, che non si scalda mai a nessun sentimento, quella vanità, quell’ adorazione di sè medesima, per cui, quasi ad olocausto al nume spietato, eli’ ha d’ uopo di sacrificargli sull’ ara la felicità dell’ uomo eh’ ha la sventura d’ abbattersi seco, passano quasi il segno del possibile, o se tali mostri pure si danno, perchè porli dinanzi allo sguardo ? Qual diletto può sentir l’anima nell’ affisarsi in sì desolante spettacolo di degradazione della nostra natura ? Qual cuore sarà reso migliore da pagine sì disumane ? E questi quadri son tanto più sconsolanti, quanto più mirabile e singolare è l’ingegno, con cui sono ideati e condotti. Imperciocché