438 LIB. IV, CAPO IX. il doge Pietro Ziani e nel 1345 il doge Andrea Dandolo, un terzo se ne fece ai di nostri, che costò un lavoro di oltre a cinque anni continuati, ed ebbe fine nel 1847, epoca, in cui la pala fu ricollocata a suo posto ; non però nel modo stesso, che vi stava da prima ; cioè, non ripiegata e chiusa in sè stessa, ma tutta aperta e distesa, e munita altresì di una goffa grata di ferro dorato, da’ cui stretti fori a grande stento si può discernere il lavoro. E più difficile ancora nc fa riuscire il vederlo il grosso cristallo, che vi fu posto per proteggerlo dalla polvere e dalle mani degl’ indiscreti curiosi, framezzo alla pala stessa e alla grata : e finalmente un’ ampia tela di colore rosso, frapposta tra il cristallo e la grata, la copre intieramente, quasiché fosse una perpetua settimana santa : sconcio consiglio di chi la immaginò, ignavia degli ecclesiastici riti in chi vi condiscese. Ma ciò avveniva in quel tempo ; in cui la chiesa strisciava dinanzi a qual si fosse goffaggine della barbarie, che dominava. In quest’ ultimo rislauro si rimisero varie pietre preziose, che mancavano, e si operò in modo, che in avvenire si possano sciogliere facilmente le lamine d’ oro e i gruppi di gemme per pulirli e rimetterli a posto. Ne furono ristauratori i valentissimi orafi veneziani Lorenzo e Pietro Favro, detti Buri, padre e figlio. Sull’ autorità del Meschinello, che fece la descrizione della basilica marciana e che parlò conseguentemente anche di questo prezioso monumento della religione e della ricchezza degli avi nostri, noterò qui per semplice curiosità il numero delle gemme, chc vi erano profuse in questo lavoro a’ suoi dì, la più parte delle quali rimangono ancora, benché frammiste con quelle che vi si aggiunsero. Egli scrive infatti, eli’ eranvi 1300 perle; 400 granate; 90 ametiste ; 300 zaffiri ; 300 smeraldi ; 15 baiassi ; 4 topazzi e due cammei. E questi ultimi preziosissimi rimangono tuttora, incastonati in oro, ai lati del secondo quadro esistente nel primo ordine. Noterò da ultimo, che il dotto e diligente Filiasi, tanto nelle sue Memorie de’ primi e secondi Veneti, quanto nel suo Saggio sul commercio e sulle arti dei veneziani, la nominò, nè saprei