354 LIBRO III, CAPO XVI. alta ducal dignità. Cerio è per altro, che in un documento, che si conserva nel codice Trevisaneo, il Contarmi è intitolato altresì patrizio imperiale e protosebasto. L’anno seguente, insorse di bel nuovo contro la giurisdizione patriarcale di Grado il feroce patriarca aquileiese. Sapeva Pepone assai bene, che la corruzione della corte pontificia di quell’ eia lasciava libero l’ingresso a qualsivoglia intrigo o cabala, e proteggeva qualunque scaltro al conseguimento di qualunque favore. Ap-profillando quindi della circostanza, ricorse al papa Benedetto IX, che tuttora sedeva sulla calledra di san Pietro, ed otlenne un nuovo decreto, per cui la chiesa di Grado veniva assoggeltata un' altra volta al patriarca di Aquileia. Pepone, orgoglioso per la felice riuscita del suo infame attentato, si accinse a prendere il possesso della sede gradese ; ma non già da pastore, da masnadiero. Radunata una grossa schiera d’ armali, sorprese all’improvviso quella città, e vi commise ogni più orrida nefandezza. Furono saccheggiate le chiese egualmente come le case; furono persino spezzati gli altari; dopo rapiti tulli i tesori sacri e profani, furono abbandonate alle fiamme tutte le case e le chiese, sicché di tutta la città, come narra il Muratori (3), fece un falò. Commossi per 1’ empio insulto, il doge Domenico Contarmi c il patriarca Orso Orseolo scrissero lettere al pontefice, e gli mandarono ambasciatori a Roma l’abate della santissima Trinità di Brondolo, il quale aveva nome Benedetto, il cherico Gregorio e Giovanni Stornato, acciocché Io informassero dell’enorme eccesso, e gli e ne chiedessero giustizia. Non riuscì vano il messaggio : il papa non potè non conoscere l’imprudenza del suo contegno contro la giurisdizione di Grado. Radunò pertanto un concilio, in cui e fu annullala la precedente sentenza, e un nuovo decreto le fu tosto sostituito, col quale, enumerandovi tulle le violenze del patriarca Popone e condannandone le iniquità, gli si comandava di restituire i tesori rubati alle chiese e agli abitatori di Grado e di ripararne i danni recati, e lo si minacciava delle pene ecclesiastiche qualora non avesse ubbidito.