anno 997. 309 » osserva sapientemente il Filiasi (1), olire che non cila egli di » dove abbia (ralla tale notizia, il Sagomino, vivente allora, e co-» me si conosce in particolar modo addetlo alla famiglia Orseola, « nulla ne dice; nulla ne dice il Dandolo pure, nulla il de Mona-» cis. Qualche oscura cronaca volgare non fa autorità in ciò ; c » poi i patti esistenti nel codice Trevisano tra i nostri e gl’istriani e » dalmati decidono la questione. Que’ presidi il doge potrebbe » averceli posti fintantoché guerreggiava cogli slavi e nulla più, o » in seguilo e molto dopo, essi esservi andati, e quando o per re-» plicate ribellioni, o per intestine discordie, o per volontaria chia- * mata degli slessi cittadini, le città dalmate ed istriane mutarono » su ciò sistema o condizione. » Lo che ci sarà fatto palese a suo tempo. Ciò intanto basta a smentire anche 1’ asserzione del Laugicr e de! Darù ; il primo dei quali, dopo aver detto, essersi regolala la forma del governo da stabilirsi nelle città sottomesse, sognò che fosse risolto di spedirvi dei Rettori con potere di esercitare il comando. E soggiunge : « Si decretò, che la loro autorità, supcriore a quella » dei tribuni, che amministravano la giustizia nelle isole dell’antico » stato di Venezia servirebbe a distinguere il popolo dominante dal » popolo suddito (!!!)• Per questa ragione s’ inventò un nuovo » titolo, dando a questi rettori il nome di Podestà, che denotava la » potenza sovrana della Repubblica e la soggezione delle città ove * dovevano esercitare questo potere. ■ E così egli lira innanzi favoleggiando a suo capriccio, o traendo senza critica le sue notizie da fonti mal sicure e recenti. L’altro poi, voglio dire il Darù, non mancando mai al suo uffizio di meschinissimo compendiatore, se ne spiccia senza tante riflessioni e ci regala nuda, nuda la favolosa notizia, che in ognuna di quelle città conquistate « fu spedito un magistrato, che col titolo di podestà * governava in nome della repubblica ; » ed anche ce ne nomina (i) Tom. VI, cap. XXI. pag. 263.