anno 552—579. 55 resero di bel nuovo la nostra penisola campo di lunga e sanguinosa guerra ; tullociò valse a condurre numerosissime famiglie, c delle più doviziose del continente, a cercare pacifico ricovero nelle nostre isole ; in questo nostro asilo di sicurezza c di profittevole industria. Tra le quali parve primeggiasse per 1’ ecclesiastico fulgore l’isola di Grado, ove ricovcravasi Paolo, vescovo scismatico di Aquileja, seco recando e clero e popolo e le reliquie di santo Erma-gora e tutti i tesori della sua chiesa. La narrazione di questo fallo vuol essere incominciala dalla sua origine sull’ appoggio degli storici nostri più diligenti, particolarmente del de Rubeis, del Gallic-ciolli e del Filiasi. Sino dall’ anno 540 il vescovo aquilejese Macedonio s’ era dichiaralo fautore dei tre capitoli, c con lui il clero vi si mostrava tenacemente attaccato. Più fiero ancora nel sostenerli fu il successore di lui, che aveva nome Paolino, o, come altri vollero, Paolo, assunto alla sede vescovile nell’ anno 557, e fuggito, per sottrarsi alle incursioni dei barbari, nell’ isola di Grado già popolata e munita di forle castello sino dal 410. Quivi pochi anni dopo mori. Nella dignità egualmente clic nello scisma gli fu successore Probino, circa il 569 ; ed « è comune opinione, dice il » Filiasi (1), che intorno a questi tempi, per vanità c per dar lustro • al loro partito, i vescovi aquilejesi si appropriassero il titolo di • patriarchi. » E lo credo ; perchè so clic pochi anni dopo, cioè nel 579, Elia, già da otto anni succeduto a Probino, radunò un concilio di venti vescovi, per trattarvi un tal punto, c fece dichiarare Grado metropoli ecclesiastica della nuova Venezia c dell’lslria; ed egli il primo assunse di comune consenso il titolo di patriarca. Vi fu decretato inoltre, che la sede pastorale si dovesse riconoscere trasferita stabilmente da Aquileja in Grado, perchè gli ariani longobardi s’ erano già impadroniti di quella città ; e che Grado si dovesse in avvenire chiamare nuova Aquileja. La storia di questo concilio ci è conservata dal nostro cronista Andrea Dandolo (2). (i) Tom. V. pai. ita. (a) Cron., lib. VI.