400 LIBRO 111, CAPO XXVII. quasi mai far menzione dei nostri. Ma pur e meglio per noi, che non ne abbiano parlato; perchè cosi, se non figurano nelle guerriere intraprese, non vi figurano nemmeno nell’ enormità dei misfatti, in cui si resero celebri i prodi combattitori di quella santa guerra. E forse non vi figuravano anche per ciò, che la loro concorrenza a prestar mano all’impresa, fu per lo più sul mare, e riducevasi al trasporlo delle truppe crociate ed al bloccare le piazze e i porli, ove avevano nido i saraceni. Non dee perciò recar maraviglia, che lo stato veneziano allora soltanto lo si vegga avere preso parte al-l’impresa, quando si trattò della famosa spedizione della Siria, come dovrò narrare in appresso. CAPO XXVII. Muore il cloijc Vitale Falier: gli succede Fittile I Michele. Nel mentre clic ardeva siffatto incendio, Venezia fu afflitta dal gravissimo flagello di una carestia, che ne desolò tutte le isole. Molti del popolo morirono di fame; i più poveri si diedero in braccio alla disperazione, e molestarono gravemente con ruberie e con incendii le famiglie dei ricchi. Per giunta di orrore, la notte del 5 settembre dello stesso anno 1096, un’ impetuosa bufera, accompagnata da fortissima scossa di terremoto, portò il guasto e la rovina a tutte le veneziane maremme. E in mezzo a tutte queste sciagure lini la sua vita il doge Vitale Falier, che aveva governato la repubblica intorno a tredici anni. Gii antichi cronisti non ci tramandarono veruna parola di encomio in suo onore. Bensì ci fanno sapere, clic il popolo attribuì al doge tutta la colpa della fame, che lo affliggeva, forse perchè non aveva pensalo di prevenirla a tempo col fare opportuna provvista di biade. Ed aggiungono, che subito dopo cessato il flagello, molti della plebe andarono affollati al suo sepolcro in san Marco, e gettandovi sopra e pane e farine, urlavano