anuo 1509. 225 se ne resero lilialmente padroni. Dice il Frizzi, eh’ esse erano duecento « comprese le altre, che piene di viveri e munizioni erano » rimaste al castello. » Intanto la flotta veneziana, che combatteva al disotto del ponte di Francolino, avuto notizia della perdila di castel Tedaldo, si diede alla fuga, inseguita e iufestata sino al mare dalle soldatesche del marchese Francesco. Cessato il combattimento, i ferraresi raccolsero mille ottocento cinquantaquattro cadaveri, e li gettarono in uno dei tagli, fatti poco prima dai veneziani stessi nell’ argine del Po, per sommergere la città. Sopra tutti questi cadaveri posero quello di Sgavardo, perciocché da lui era stato suggerito quel taglio. 11 luogo fu poscia nominato dal volgo la motta di Sgavardo. Circa la quale scrive il Frizzi : « La tradizione é, eh' ella fosse al preciso silo, ove al pre- • sente fuori a porta san Benedetto, su la via di Mizzana e poco • distante dalla fortezza, sull’antico argine del Po, vedesi eretto un • piccolo oratorio dedicato a Maria Vergine. » I pochi prigionieri veneziani, rimasti in mano dei ferraresi, furono trattati secondo T usanza barbara di quei tempi, dalla quale non seppero staccarsi nemmeno i rappresentanti del vicario di Cristo: furono privati degli occhi e rimandali a Venezia. E in ricompensa di tanle barbarie e iniquità esercitate dai confederati contro i veneziani, il cardinale Arnaldo dispensò nuove indulgenze a quanti vi avevano cooperato. Altri insulti fecero i vincilori ai veneziani : perché Lamberto e Bernardino da Polenta, nel ritornare a Ravenna, seguitali da molli ferraresi, assalirono il castello detto de’ Marcomani, fabbricato non mollo prima dai veneziani a sant’ Alberto : il giorno 25 settembre lo espugnarono e lo distrussero (1). Ma neppure il papa si potè gloriare lungamente di questa sua conquista, derivatagli a prezzo di tante ignominiose crudeltà ed ingiustizie ; né il marchese Francesco potè appagare le secrete sue mire (i) Armai. Forlw. nel lon». XXH del Muratori, Rer. ltal. Script.