/(IO LIBRO XII, CAPO XVI. da una legge del dì i i marzo 1647, che prima di accettare un’accusa la si dovesse sottoporre per cinque volte alla prova dei voli, computando i voti non sinceri come se fossero negativi. Più considerevole poi era la delicatezza, che usavasi per le denuncie scerete, che avessero avuto relazione a materie di sialo od a pubblico interesse importantissimo. Una legge del 2 maggio 1647 comandava, che I’ accusa anonima su tale argomento fosse da prima nel Consiglio stesso presa ad esame per giudicare se veramente conteneva muteria di stato od interesse pubblico importantissimo ; e alla deliberazione esigevasi la maggioranza di cinque sesti dei votanti, e doveva essere sottoposta per cinque volte alla prova dei voti nel modo indicato di sopra. Poi si passava, con altre cinque ballottazioni, a deliberare, se l’accusa, dichiarata materia di stato, si dovesse accettare o respingere. La serie di queste leggi si ponga ora a confronto colle favolose menzogne dei tanti scrittori, che calunniarono, per ignoranza più forse che per malignità, la nostra antica magistratura del Consiglio dei dieci; e senza lunghi commenti potrà conoscere chiunque lo voglia da qual parte esista la verità. Si pongano queste leggi a confronto delle insultanti parole, che lo storico del Consiglio dei dieci (1) vomitò contro questa saggia e circospetta magistratura, e si conoscerà quanto enorme ne sia più che T ignoranza la sfacciataggine. « Pur troppo, egli dice, si danno dei casi, massime nei » governi dispotici, in cui l’interesse così detto dello Slato, ossia • dei pochi che comandano, è talmente opposto all’ interesse della » moltitudine, che chi si trova in certi impieghi non è davvero la » persona più invidiabile, mentre, se operando ad un modo egli • non può acquistarsi lode di accortezza e di zelo operando nell'al-» tro troppo spesso gli tocca di procurare un gran danno ad uomi- • ni, cui può essere unito per vincoli di amicizia e di parentela, e » che sono d’ ordinario dei più stimati. In così critiche contingenze (i) Torino 1847, cap. 1I> pag. 45 e 46