AiHKO 1319. 'l^.S secondoché o la ventilazione, necessaria a non rendere mal sani i camerotti, o le precauzioni giudiziarie per impedire qualunque comunicazione tra i detenuti, esigevanlo. Giù dell’ ultima scala arrivavasi ai pozzi propriamente detti, sui quali nulla più mi resta a dire, dopo tutto ciò che ho notato fin qui circa i camerotti del piano supcriore. Avvertirò soltanto, ch’essi erano molto più huii, perchè non vi penetrava luce che dai soli anditi, da cui erano circondati; e questa era luce di lanterna, che giorno e notte vi ardeva in sugli angoli ; e perchè ognuno non aveva che il solito foro rotondo, dell’ apertura di un mezzo piede. Aggiungerò un’ altra notizia, e questa forse spiegherà la favola delle prigioni sotterranee, Il pavimento sì dei pozzi, come dei relativi anditi è sostenuto da un volto; ciò per solidità della fabbrica, non già perchè sotto vi fosse accesso, o vi esistessero altre carceri, che gl’ ignoranti poi credettero murate coll’ innalzarsi del livello della laguna. Ed aggiungerò, che sopra i due piani da me descritti, un terzo ve n’ era con alcune carceri, le cui finestre, difese da inferrata, guardavano sul loggiato, che dalla scala dei giganti conduce alla scala del salone del maggior Consiglio; c di là i carcerati calavano delle borse, per chiedere la limosina a chi vi passava, come sino al giorno d’ oggi suol farsi in molte altre città dell’ Italia: al che allude l'antichissima iscrizione gotica del 1562, in linguaggio veneziano, la quale promette indulgenze spirituali ai caritatevoli benefattori di quegl’infelici. È la versione di una bolla del papa Urbano V. Ma ritornando alle prigioni, di cui parlava testé, piacemi di interrompere alquanto la gravità della storia col recar qui le buffonesche e ridicole imposture di taluno di que’ romanzieri che fanno mercato di menzogne per comperare pane di cui sfamarti. In un opuscolo stampato a Venezia nei giorni della funesta democrazia, che susseguì la caduta della repubblica veneta, nel 1797; e sono questi per lo più i frutti di una repentina libertà di stampa, e noi ne fummo e ne siamo tuttavia testimoni, che tutti ì saccentuzzi VOL, III. i)!t '