212 Liimo xi, capo vi. violato il diritto stesso delle nazioni, sciogliendo patti e convenzioni c tregue e alleanze, strette già in addietro e con chi non aveva avuto nè aveva punto di che fare colla controversia presente ? Con quali tinte nerissime non vi si vede I odio più feroce e il più infame desio di vendetta perseguitare i veneziani, sino a stimolare contro di essi, quasi per dovere di religione e per non incorrere in ecclesiastiche pene, i cristiani tutti dell’ universo di qualunque nazione pur fossero, e qualunque più sacro legame gli avesse pur stretti alla scomunicata repubblica ? Ma tal era l’indole e il gusto di quei barbari secoli : tal era la fierezza marziale, che quell’ età sciagurata infondeva negli stessi ministri del Dio della mansuetudine, ornati d’elmo e di spada più meritamente che di sacra tiara e di croce. CAPO VI. L’ affare è trattato nel gran Consiglio. Appena giunse notizia a Venezia della sentenza pronunziata dai legali pontificii contro fa repubblica in generale e contro qualunque veneziano in particolare, radunossi il maggior Consiglio per discutere e deliberare circa le risoluzioni da prendersi. Varie furono le opinioni : Jacopo Querini, Bajamonte Tiepolo, i Bprozzi, i d’ Oro, i Badoer volevano, che si cedesse, e che Ferrara si lasciasse al papa : ma il doge colla maggioranza del Consiglio voleva che la repubblica stesse ferma nel suo acquistato diritto. Anche il popolo schiamazzava, perchè non si rinunziasse a quell’ importante possedimento. Nel gran Consiglio, quelli, che stavano dalla parte di Jacopo Querini, non si astennero dal pi'onosticare tulle le calamità, di cui sarebbe feconda la progettata risoluzione di conservarne il possesso : fecero sentire, che l’interesse della patria doveva dissuaderli dal disonorarsi con una usurpazione, dall’affrontare i rischi di una guerra, dal provocare sullo stato le censure ecclesiastiche, dal turbare le coscienze di tulli i cittadini per dar pascolo ad una