128 MURO X, CAPO IX. di che abbisognavano. Anzi vi dirò che spesse volte si davano loro sino a duecento uomini per iscorta acciò sicuri andassero dall’una all’altra contrada : e ben ne avevano bisogno, perchè Quiacatu non era sovrano legittimo e la gente non si asteneva quindi dal far male, siccome avrebbe fatto sotto un legittimo signore. Ed altra cosa vi dirò, che mentovar giova in onore di questi tre ambascia-lori: sappiate, che messer Nicolò, messer Matteo e messer Marco furono tanto onorali, perche tale fiducia e tale affetto riponeva in loro il Gran Can, che loro affidò, oltre che la regina Cocacin, anche la figlia del re del Mangi, acciò le menassero ambedue ad Argon signore del Levante. E così essi fecero e le condussero per mare con tanto seguito, come vi ho raccontalo. E queste due donne erano sotto la custodia dei Ire latini, che le riguardavano siccome figlie; ed esse, giovani e belle, riguardavano quelli siccome padri e loro obbedivano, finché le guidarono ai loro mariti. La regina Cocacin, moglie di Cazan ora regnante, tanto li amava, che non è cosa clic non avesse fatto per loro siccome a padre fatto avrebbe ; c quando si separarono da lei per tornare alla patria, ella pianse la loro partenza. » Preso commiato da Quiacatu, i tre Ialini tanto cavalcarono che verniero a Trebisonda. indi a Costantinopoli, donde veleggiarono a Negroponte, indi a Venezia, ove giunsero nell’ anno MCCXCV. . Dopo la quale narrazione del contemporaneo scrittore, giovami proseguire il racconto sulla fede di Giambattista Ramusio, che ci conservò le tradizioni de’ suoi giorni in Venezia, circa il ritorno dei Polo. Egli le aveva ricevute dalla bocca di Gasparo Malipiero, il quale abitava dirimpetto al palazzo Polo; e il Malipiero assicurava di averle udite dall’ avo suo e da altri vecchi vicini. Così pertanto le registrò (1). « Giunti i Polo a Venezia, intravenne loro quel (i) Ved. la cit. eilii. de' Viaggi di Marco Polo, netta pag. XXH e seg. della Prefazione.