— 89 — sentito tanto « fiuman ». E mi rammarico di ritrovarmi con voi in un teatro chiuso e stipato. Meglio mi piacerebbe d’essere con voi all’aperto, d’essere alla ringhiera, d’essere nell’arengo sotto le stelle, come tante volte, sotto la costellazione delia buona causa, per intraprendere con voi uno di quei dialoghi balenanti che vanno dalla vostra anima a un altro cielo : un cielo di ardore c di tempesta. Stasera l’arengo è fra quattro mura. Ma anche le mura sono umane, anche le mura palpitano e ardono, dal fondamento al sommo. Ci sono costellazioni di occhi lassò. La fiamma di Fiume riscoppia. Quando pare sopita, ecco che riscoppia e risplende e ribalza più alta che mai. Stasera l’arengo è in una fornace. Il più gran fuoco di Fiume è acceso di qui. Faccio l'estrema prova. Non ci metto la mano sopra. Intiero mi getto dentro. Guardatemi. Stasera non sono un uomo, non ho il mio vecchio viso di scrivano pubblico. Stasera non sono e non voglio essere se non il coraggio. Parla il coraggio. La pazienza non parla più. I^e tagliai la gola iersera, addi undici di agosto, all'ora stessa in cui ero per arrivare al cimitero di Ronchi, undici mesi fa. La sgozzai, come uno dei miei Arditi avrebbe fatto di quel disertore poltrone che ha creduto più comodo mettersi a letto e