— 82 — rio del Duomo, conclamarono : « Giurando giù* riamo e promettendo promettiamo la perpetua sommissione dell’ isola, e di corrispondere an-nuatim cinque libbre di oro obrizio e seta serica. E questo atto di promissione rimanga in perpetuo nella sua forza ». Non cinque libbre di seta serica e d’oro obrizio ma tutta l'anima nostra offriamo a chi verrà per liberarci come Ordelafo Faliero ci strappò al re croato. Non ci dimenticate fratelli. Non ci lasciate perire. Siamo anche noi gente latina, devota al nome latino. Siamo stati anche noi fedeli, vogliamo essere anche noi fedeli sino all’estremo. Abbiamo lottato, vogliamo lottare. L’alluvione atroce discende dalla Lika, incessantemente. Non c’è scampo per chi non lotta. Chi parla dei nostri ulivi, delle nostre querci, dei nostri cespi di salvia e di timo, della nostra mitezza ? Che ci importa, se non siamo Italiani in terra d’ Italia ? Vogliamo insorgere, vogliamo combattere. Siamo con voi, siamo per voi. Ecco il nostro sangue. Non lo rifiutate. Prendetelo ». Così dice la campana di Arbe, così dice la Granda : voce della sua gente. E gli altri tre campanili della città di San Cristoforo suonano a consiglio, anche quelle di Pago che è il nostro ponte verso Zara la santa, il nostro ponte verso quella Dalmazia diletta che le armi d’ Italia accolse inginocchiata su le sue rive veneziane. E tutte fanno lo stesso richiamo, fanno lo stesso lamento. La loro gente, la gente nostra, per tutto il