— 214 — assodate dai costruttori. Tutta la città stava in ascolto, come quando le donne ansiose ponevano l’orecchio contro il suolo per udire il rombo della marcia di Ronchi. Sapeva ch’era l’ultima volta, che quelle orme sarebbero state scancellate. Passavano i figli d’ Italia migliori, quelli che il maschio artiere della razza formò in un’ora felice, con la sua più ricca sostanza, col suo più netto vigore. Passava la giovinezza latina, sotto l’elmetto di ferro e sotto il panno rozzo bella come il più bello eroe vergiliano. Passava la forza chiomata su le cui fronti le lunghe ciocche sem bravano vampeggiare come i fuochi di una Pentecoste imminente. In qual plaga del mondo, sotto qual cielo, vivono oggi strutture umane comparabili a queste ? Quale stirpe può vantare un tanto privilegio ? Anche di questi guerrieri si può dire, come degli imberbi combattenti nel Solstizio, che la antica elezione è fatta carne : « gentil sangue latino ». Ma ieri pareva riscolpisse i loro volti quella pensosa severità che l’onda continua delle canzoni vela o cancella come fa delle statue sommerse l’acqua corrente. I cantori della giovinezza andavano verso un mistero di giovinezza che somigliava a un trapasso oscuro e somigliava a una assunzione radiosa. Tacevano. L’inno di Goffredo Mameli essi lo avevano cantato l’idtima volta, su la linea del