— 69 — dubitò. L'àncora della prima nave italiana, gettata nel porto, parve non mordere il fondo »alno ma affondarsi nel vostro vivo petto da cui non si potesse mai più salpare. Era il i di novembre : i volti splendevano come le bandiere, le grida e i canti erano un solo coro, la gioia della dedizione era bella come il rapimento del sacrifizio. Non eravate se non Italia, non volevate essere se non Italia. Il medesimo sangue profuso nell’Alpe, nel Carso, nel Veneto, nel Friuli, gonfiava le vostre vene e chiedeva di essere donato. Ve ne ricordate. Italiani ? E il 10 di novembre, quando il Re approdò a Trieste e non approdò a Fiume, quando la maestà del Re consacrò 1’ Istria di ponente e non consacrò la ròcca del Quamaro e il suo arcipelago, tre cittadini furono inviati dal popolo a recare la deliberazione del Consiglio che non suscitò se non « una eco profonda » nel petto regale. Quella ■ eco profonda » pareva già creare il mito doloroso di Fiume, il mito di chi chiama e risponde a se stesso, il mito di chi cerca e s’inganna, il mito dell' illusione e della delusione. I marinai non sbarcavano ; i liberatori non apparivano. Dove s’era arrestata la Vittoria ? Chi la tratteneva ? E destino che voi dobbiate comperare ogni vostra gioia a prezzo di dolore, fratelli, e sempre patire un’eternità d’angoscia per un attimo di giubilo.