a5o lice e di loro all’imperatore Giustiniano secondo; il quale era contro essi adirato per la dimostrata letizia dell" essere stato cacciato dal trono e sbandito. Ma rimessovi, e sempre crudelissimo (54), nè mutato dalla sventura dell’ esilio, che nel volgersi da avverso a riveritissimo ai papi (a), comandò al patrizio Teodoro, che capitanava l’armata nel Mediterraneo, di crescerla e di veleggiare a Ravenna ad incatenare Felice con tutti i nobili suoi parteggialori, che manderebbe a Costantinopoli; e tutti gli altri suoi fautori sbandeggerebbe negli averi e nelle persone, e sterminerebbe Ja città. Felice ed i Ravennati, saputo questo crudele comando, e raccolti aiuti dalle città dell’esarchia e dell’Emilia, disposero le difese. I Veneziani, quali alleati dell’imperio, fortificarono di navi e di soldatesche assai 1’ armata di Teodoro ; ed ecco tutti sbarcare sul lido di Ravenna, ed i cittadini, più coraggiosi che ordinali e periti a combatlere, furono volti in fuga, e spinti nella città dalle lancie dei vincitori, che li inseguirono a chiuderli come in carcere di punizione. E Teodoro prese Felice ed assai nobili, e speditili a Costantinopoli, fece morti e sbandeggiati tutti gli altri suoi parteggiatori, e mise a sacco, a sangue ed a fuoco sì terribilmente la città, che gli scrittori ci tramandarono non potersi paragonare a quello ster- (a) De pristina vitaob calamitates, quasperpessus fue-rat, Justinianus, nil immutaverat praeter hoc tantum, quod sedem apostolicam, coutra atque antea consueverat, venera tione deincepsobservavit, tutatusque est. (Platina, in Vi-ta Conslantini).