a 13 dogi; onde venivano i differenti modi di adoperare secondo occasione e circostanza; differenza, che vediamo sparsa nelle croniche. Laonde il doge era principe della nazione; ma i nobili con tutti, o con parte dei popolani, erano presti a sollevarsi j>cr abbatterlo e punirlo, anche per so- lo sospetto che aspirasse ad abusare delle date potestà, o ad arrogarsene di novelle. E la storia dei Veneziani di questi secoli e di alcuni posteriori dimostra, che se il doge era [>otente [«r ricchezza, per sapienza, per prospera fortuna; se benefico seuza baldanza, se vincitore in guerra, senza farsi sgabello della vittoria j>er passare le date potestà, e di queste usasse senza superbia e senta fasto, traevasi la stima e 1’ amore dei nobili e plebei, e riusciva a governare, quasi a sua voglia e senza pericolo, la pubblica cosa. Ma se rompeva queste norme, era esortato od obbligato a scendere dui seggio; e se voleva ancora sedervi, era tanto detestato, che periva o per congiura o per sedizioso tumulto. Perciò nei primi secoli dei dogi il l«ericolo loro era proporzionato all’ abuso della potestà; della quale era difficile usare coi suddetti modi a salvarsi dal pericolo; e bisognava che il doge fosse tanto virtuoso, da contentarsi del segreto sentimento della sua potestà, frenata in palese, di modo che si dicesse, lui essere tanto moderalo, da non usarla interamente. La quale nei primi secoli fu grandissima in mezzo a grandi pericoli; fu poi ristretta e ridotta quasi a nulla senza pericoli; e come andò scadendo realmente per opera dei nobili, così crebbe in illustre fastosa ap(>arenza. creduta dalla plebe sensuale vera possanza, in cui essa si pasceva dell' abbagliante maestà