3o8 scorgendo fermarsi 1' opinione che ambedue parteggiassero pei Franchi, iroso di non poter rimanersi coperto nemico della patria, finche gli piacesse, ravvolse in mente novelle e più aperte macchinazioni contro di lei, vendicative della meritata alienazione. Poiché dicendo a Pipino dell’essere dal fratello, ch’aveasi piglialo a compagno nella ducale potestà, male retribuito, anzi minacciato, metteva sua speranza nell’ aiuto di lui, al quale andava dimostrando di poter trarre i Veneziani, dal tenere per l’imperatore, e volgerli alla [»arte francese, per cui fare Fortunato patriarca assai forte opererebbe. Di fatti, sì Obelerio e sì Fortunato, abbandonata la ragione della patria, s’accostarono tanto palesemente a Pipino, che tale tradimento non è disdetto nemmeno dagli antichi storici francesi. I qua- li aggiungono che Pipino, saputo essere per 1’ Adriatico e per lo mare di Toscana le cotanto maggiori forze di Niceforo, trattasse di pace. E< mentre Pipino e Niceta proponevano le condizioni, Obelerio, timoroso d’essere cacciato di seggio, e Beato, sospettando d’essere mal veduto per cagione del reo fratello, si mescolarono nelle conferenze della pace; ma s’ingerirono con poco consiglio, perché non erano stati di tale uffizio, per sì grave negozio, incaricati dalla veneziana assemblea; e se lo aveano pigliato per entrare di più in più all’ animo di Pipino, con danno della patria. Il quale prendeva le vane parole loro per promesse che, fallite, potevano essere cagione di guerra, se altro e più forte ambizioso motivo non lo avesse mosso a farla. Ma non convenendo Pipino e Nicela delle principali condizioni, e perciò tornato Niceta coll’ armala a