— 215 — fuoco, andando incontro ai fratelli nemici. Goffredo non era con loro disperato, e non era rimorto coi loro morti ? e non giaceva anch’egli chiuso fra quattro assi, accanto alle altre salme, col suo inno senza voce, ricoperto da una catasta di lauri ? Tacevano. E si vedeva come anche per essi il silenzio fosse l’elemento del rilievo e dell’espressione. Si pensava che in un tempo indistinto, avessero potuto respirare l’eroismo nella volta della Sistina e dominare da quella profondità la colpa, la vergogna, la sventura, la paura, la morte. S’erano compiuti per me ? s’erano perfetti per amore di me ? Volevano inebriarmi e straziarmi alla vigilia del commiato ? Volevano dimostrarmi che erano veramente le creature della mia aspira zione furibonda e del mio fato crudele ? Sapevano che io li conducevo verso la sommità di una bellezza a me stesso ignota ? Quante volte, nelle piazze, nelle corti, nei crocicchi, nei prati, su per le colline, lungo le rive, dalla ringhiera, quante volte avevo detto a questi poeti inconsapevoli le parole della più ebra poesia ! « Chi mai potrà imitare l’accento delle nostre canzoni e la cadenza dei nostri passi ? Quali combattenti marciarono come noi verso l’avvenire ? Non eravamo una moltitudine grigia ; eravamo un giovine dio che ha rotto la catena foggiata col ferro delle cose avverse e cammina in-