— 105 — IL COMANDANTE. Io v’ insegnerò l'orgoglio. L’ Italia bella è qui. Noi la portavamo vi* vente nell'ansia del nostro petto, quando la prima bara si spezzò all’urto del primo carro armato. E qui 1’ Italia non ancor monda di sangue e di sudore. E qui 1’ Italia che più potente sorge dalla sua vittoria negata. E qui lo spazio mistico per la sua apparizione ideale. Non s’ode se non qui. sotterra, sotto la roc* eia carsica, il rombo del fiume sanguigno che senza foce corre all’avvenire. Ascoltiamo. Riserriamo per un istante l’orizzonte nell’afa d’agosto che sta su la solitudine dei nostri morti. E l’agosto delle battaglie torride, l’agosto delle vittorie disperate. Ecco il Sabotino con la sua lunga groppa grigia rilavorata dagli scoppii, ecco la montagna tetra che pare con le sue radici inferme disseccare 1’ Isonzo. Ecco la gola di Oslavia soffocata dal fumo immoto. Ecco la creta del Podgora rossastra come il grumo. Ecco il San Michele dai quattro gioghi, il San Michele dai trentadue assalti abbeverato di più sangue che non ne abbiano bevuto nei secoli tutte le are votive. Dov’ è andato quel sangue ? C* è un Timavo misterioso, un limpido Ti-mavo di molte fonti, dove ci lavammo le mani e il viso prima di combattere, in una sera di