284 Giulio III. 1550-1555. Libro T. Capitolo 6 c. annidati ovunque fossero scoperte le commessure dei mattoni, compivano la loro lenta, ma sicuramente progrediente opera di distruzione. Le grandi rovine hanno ognora un’efficacia elevata, meno per le masse delle loro pietre che per l’eccitamento della fantasia, alla quale rivelano la grandezza d’un tempo. In nessun luogo al viaggiatore s’affacciava così impressionante quadro della caducità come a Roma in vista del mondo crollato degli dei e degli uomini. La melanconia, che a tal vista coglie i mortali, è efficacemente espressa nei versi, con cui Gioachino du Bellay cantò nel primo libro delle sue Antiquités de Rome (1558) le rovine da lui perlustrate. In strano contrasto col culto archeologico, che dedicavasi all'antichità, durante tutto il periodo del rinascimento gli antichi edifizi vennero spogliati nel modo meno riguardoso del loro marmo e delle loro colonne ed utilizzati quali comode cave di pietra per le nuove fabbriche. Con altrettanta mancanza di riguardo si procedette nella ricerca delle antichità: spesso distruggevasi più di quanto si sapesse e si volesse. Molto fatale diventò pure lo scavare sotto i fondamenti delle antiche costruzioni. Dai rami cinquecenteschi si scorge chiaramente come simili scavi conducessero al crollo i robusti portici delle terme di Diocleziano. Presso questi bagni, i più grandi della città antica, al principio del governo di Giulio III un prete siciliano aveva eretto una piccola cappella, ma ben presto ne lo scacciò la canaglia che si serviva delle rovine come di comodo luogo di rifugio.1 Coi loro grandiosi portici le terme fecero a Fichard l’impressione d’una serie di chiese. Egli giudica che come costruzione esse sono meravigliose, ma ormai solo difficilmente riconoscibili riguardo alla loro destinazione. 2 Grandi cambiamenti in quella regione cominciarono coll’impianto della villa, i famosi Horti Bellajani, che dovettero la loro origine al cardinale du Bellay, amante del fasto e dell’arte.3 Delle terme di Tito e dell’ am p hi tea trurn castrense, che serviva da giardino ai monaci di S. Croce in Gerusalemme, conser-vavasi, come mostrano le incisioni, molto più che non al presente. Su ogni visitatore di Roma faceva un’impressione sbalorditiva il Colosseo, quantunque il pianterreno fosse tuttavia in parte occluso 3 Cfr. IIermanin 19, tav. 24; v. aneli e Bollett. d’Arte III (1909), 364 ss. 2 Fichard, Italia 40. 3 Cfr. Xibby, Roma. l’arte antica II, 802 ; Lanciami II, 138 s. ; Ehrle, Rama primo di Sisto L 33; Bartoli 76; Baracconi 133; Bomier in Mei. d’arcliéol. XXXT, 27 s. Intorno al portone d’ingresso della -villa solo da poco asportato v. Annuario d, Assoc. artist. fra i cultori di architett. 1908, 58 s. e Nuova Antologia CXXXVI (1908), 411 s. Sul parco per cervi che al tempo di Leone X tro-vavasi presso le terme Dioeleziane v. il nostro voi. IV 1, 370.