Caratteristica del card. Carlo Carata. 363 ratteri avevano molto d’affinità: ambedue, da genuini napoletani, erano rapidamente irascibili, corrivi a credere e precipitosi nelle loro decisioni.1 Oltracciò Carlo possedeva una spiccata destrezza di trattare come si conveniva il vecchio zio, di tener conto delle sue debolezze e idee preferite. Paolo IV andò sempre più formandosi la persuasione che la Santa Sede non avesse un ministro più fedele, più onesto ed esperto. Il papa lasciossi talmente acciecare da non esitare a dire frequentemente all’ambasciatore veneto, che in fatto di doti politiche Carlo superava tutti i suoi predecessori. Il nepote, che in breve venne colmato di segni di favore,2 seppe rendersi talmente indispensabile, che in caso di sua assenza il papa struggevasi di vederlo e rimandava al suo ritorno tutti gli affari politici importanti. Come fece risaltare Na-vagero, Carlo sapeva per l’appunto trovare sempre con meraviglioso acume ciò che piaceva al papa e sfruttare tutte le circostanze per ottenere i suoi fini. Della sua propria influenza era oltremodo geloso; voleva essere riconosciuto padrone e vedere gli altri soggetti. Anche coi rappresentanti delle grandi potenze non tardò a contenersi con brusca sicurezza di sè. Nella stessa misura, con che aiutava amici e fautori, egli sapeva vendicarsi di emuli e avversarii. Agli affari politici egli, che trovavasi nel miglior vigore dell’età, dedicavasi con indefessa cura. Acuto ed abile, famigliare a tutte le manovre e intrighi, magistralmente edotto nell’arte di aver sempre due ferri al fuoco, senza coscienza, falso e calcolatore freddo come soltanto un discepolo di Machiavelli, pieno di vasti e arditi piani e sommamente ingegnoso a spuntarla con tutti i mezzi, dominato totalmente da insaziabile ambizione, lo spirito ardente del Carafa era per giunta stimolato dalla fortuna toccatagli così inaspettatamente, ch’egli ora voleva sfruttare fino in fondo, fin tanto che vivesse il vecchio zio; soltanto in apparenza attivo per il nobile scopo della liberazione della Santa Sede e dell’ Italia dall’ opprimente signoria straniera, egli egoista e senza coscienza lavorava di fatto unicamente per sè e per il suo casato.3 Tale era l’uomo, che nell’età più perigliosa fu destinato a dirigere la politica temporale della Santa Sede. 1 Cfr. il giudizio del cardinale Farnese presso Riess 53. 2 Ai 26 d’ottobre del 1555 C. Carafa ebbe la legazione di Bologna con tutti gli uffici annessivi (v. * breve di tal dì nell’A re bivio segreto pontificio Arni. 44, t. 4, p. 143). Quel posto fruttava al nepote 8000 ducati. Su questa ed altre entrate vedi Navagero-Albèri 384-385. Nel febbraio 1556 il cardinale Carafa ottenne i) « governo d’Ancona » (v. la * lettera del cardinale Medici al cardinale Carafa del 5 febbraio 1556 in Cod. Barò. lat. 3698, p. 8. Biblioteca Vaticana), nel luglio 1556 il vescovado di Comminges ; v. Mèi. d'archéol. XXII, 101 s. 3 Per la caratteristica del cardinale Carafa cfr., di contemporanei, special-mente Navagero-Albèri 384 s., e Charles Marillac presso Vaissière, Charles