580 Marcello II e Paolo IV. 1555-1559. Libro II. Capitolo 6. traslazione nella regina della podestà del governo ecclesiastico. Quanto alla separazione dal papa, si consideri che con ciò ci si stacca anche dai concilii ecumenici, dal diritto canonico e in conclusione dall’unità della Chiesa di Cristo. Impressionando, l’arcivescovo dimostrò ancora, che giusta il chiaro tenore letterale della Sacra Scrittura una donna non può insegnare nella Chiesa e compiere i doveri dell’ufficio di supremo pastore, quindi neanche essere capo della Chiesa.1 Il peso di tali ragioni non sfuggì neanche alla regina Elisa-betta, che perciò nella legge fece sostituire alla frase « capo della Chiesa » l’altra di « supremo reggitore (governor) di tutti gli affari spirituali o ecclesiastici ».2 In questa forma il bill venne accettato ai 22 di marzo, prorogandosi poi il parlamento a dopo Pasqua. Alla fine, oltre ai vescovi ed all’abbate di Westminster, soli lord Montagne e l’earl di Shrewsbury rimasero fermi nella loro opposizione al distacco della Chiesa inglese da Roma. Anche all’ultima ora l’ambasciatore spagnuolo Feria fece un tentativo per trattenere Elisabetta dalla conferma del fatale atto di supremazia. Alle sue rimostranze la scaltra regina rispose, che essa poi non assumeva il titolo di « capo della Chiesa » e non intendeva neanche amministrare Sacramenti. Arrogantemente essa chiese all’ambasciatore se Filippo II le terrebbe il broncio qualora facesse celebrare la Messa in lingua inglese. Essa non lasciò alcun dubbio sulla sua risoluzione di procedere affatto autocraticamente sulle questioni religiose. Il Feria era d’opinione che a questo punto si dovesse rendere edotto il papa dello stato delle cose. Pare che l’ambasciatore, il quale avrebbe apprezzato oltre il valore lo zelo dei cattolici inglesi, sia stato dell’erronea opinione, che Elisabetta 1 Strype I App. 6. Sul discorso cfr. il giudizio di Meter I, 21. 2 Per il primo Meter (I, 19 s.) ha fatto osservare che il primato elisabbet-tiauo venne pivi tardi limitato nei 39 articoli coll’aggiunta seguente: «Wgive not our princes the ministering either of God’s Word or of the Sacraments, the which thing the injunctions also set forth by Elizabeth our Queen do most plainly testifie, but that only prerogative which we see to have been given always to all godly princes in holy Scriptures by God himself, that is that they should rule allestates and degrees committed to their charge by God, whether they Ecclesiastical or Temporal, and restrain with the civil sword the stubborn and evil doers ». Questa limitazione attenuante però non cambiava per niente il fatto, che la legge riconosceva alla regina la supremazia anche in questioni spirituali ed ecclesiastiche, aboliva la giurisdizione e podestà del papa e la conferiva alla corona. Ciò riconobbero molto bene i nemici di Roma. Parkhurst scriveva addì 21 marzo 1559 a Bullinger : «La regina, è vero, non vuole esser detta capo della Chiesa, sebbene questo titolo le sia stato offerto, ma assume volentieri il titolo di dominatrice della chiesa, ciò che è lo stesso. Il papa è da capo cacciato dall’Inghilterra a gran cordoglio dei vescovi e di tutta la consorteria dei pretacci chiercuti ». Zurich Letters I, n. 12. Spillmann II, 28 ; cfr. anche Lilly in Dublin Beview CIX, 14 s.