350 Marcello II e Paolo IV. 1555-1559. Libro II. Capitolo 2. pressioni improvvise, spesso precipitoso ed a salti nelle sue risoluzioni, non di rado imprudente e per lo più di non necessaria mordacità e bruschezza nelle sue espressioni. Come nella sua vita quotidiana non vincolavasi ad alcuna regola fìssa, così anche nel resto seguiva volentieri le suggestioni del momento; dava la sua fiducia colla stessa facilità con cui la sottraeva. Improvvise come le eruzioni del Vesuvio erano le sue risoluzioni, erano le manifestazioni della sua vulcanica natura. Al pari di tutti i suoi com-patriotti parlava volentieri molto e a lungo: dalle sua labbra il discorso fluiva come un tumultuoso ruscello. Appena un avvenimento faceva circolare più rapidamente il suo sangue, egli secondo l’indole dell’ italiano del Sud usciva nelle più violente e crude parole, che accompagnava con gesti sommamente caratteristici. Talvolta dimenticava tanto la sua dignità che lasciavasi trascinare ad atti di violenza.1 Tutto il suo ascetismo non era stato in grado di insegnargli moderazione nell’esprimere le sue appassionate sensazioni e calma riflessione nelle sue azioni. Per ciò da cardinale era venuto in conflitto con molti e s’era urtato anche con uomini che, come Ignazio di Loyola, miravano allo stesso fine, la rigenerazione della Chiesa. Con ferrea energia, con fuoco di passione egli mettevasi ad ogni uflìcio, ma nulla di falso, nulla di ipocrita era in quest’uomo d’un solo getto; genuina era la sua pietà, genuino il suo amore alla Chiesa e alla patria, la sua elevata concezione del mondo, il suo idealismo, genuina anche la sua turbinosa facondia e le sue molteplici cognizioni. Nelle più varie scienze, specialmente nella teologia, era ben versato; parlava correntemente l’italiano, il greco e lo spagnuolo. Straordinariamente erudito, riteneva tutto con fedele memoria, i classici latini e greci aveva correnti: sapeva quasi tutte a memoria le sacre scritture: fra i teologi l’autore suo prediletto era san Tommaso d’Aquino.2 Colla vigoria di una volontà ferrea e colla fermezza di un carattere intollerante di qualsiasi opposizione, Gian Pietro Carafa aveva da sessant’ anni diretto tutte le doti del suo spirito ad uno scopo : quello di far rivivere l’autorità e la potenza, la purezza e la dignità della Chiesa fortemente tribolata da nemici interni ed esterni. Tale scopo aveva aleggiato dinanzi alla mente di lui come vescovo di Chieti, come nunzio in Inghilterra e Spagna, come membro deH’Oratorio del Divino Amore, come capo dell’Ordine dei Teatini, da lui fondato con san Gaetano di Tiene, come membro della 1 Cfr. la relazione di Serristori del 6 luglio 1555 presso Coggiola, Capitolazione 27, n. 2 Cfr. Navagero loc. eit. Quanto la Sacra Scrittura fosse famigliare al Carafa è attestato dalle sue lettere, che spesso risultano quasi totalmente di passi biblici. Molte di esse sono tuttora inedite; v. specialmente * Cod. Bari. lat. -5697. BibliotecaVaticana.