84 Giulio III. 1550-1555. Libro I. Capitolo 2 c. ai rappresentanti delFimperatoré, risuonò tutt’altro che pacifico: egli infatti non rifuggì dal dire in modo apertissimo ai cattolici, che presso di loro non era rimasto più che « un’apparenza di religione » !1 Conformemente alla sua istruzione, Badhorn ripose sopra tutto la maggior importanza in una redazione del salvacondotto, che tenesse conto dei desiderii del suo signore. Nella forma il salvacondotto doveva rispondere perfettamente a quello dato dal concilio di Basilea ai Boemi. Strana pretesa, poiché il salvacondotto basileese non conteneva per nulla le richieste, delle quali i protestanti facevano ora il massimo caso, che cioè le controversie religiose venissero appianate soltanto a mezzo della sacra Scrittura e si desse ai novatori voce deliberativa al concilio. Nelle sue spiegazioni Badhorn combattè una dichiarazione, emanata, com’egli erroneamente credeva, dal concilio di Costanza, che non fosse necessario osservare il salvacondotto con gli eretici. Con questo attacco al concilio di Costanza stette in stridente contrasto il fatto, che Badhorn sostenne con entusiamo il principio non cattolico della superiorità del concilio al papa in cose di fede, stabilito da quell’assemblea, ma che non aveva ottenuto validità legale.2 Probabilmente egli sapeva che quella massima aveva tuttora seguaci anche nel campo cattolico persino fra i padri di Trento. Badhorn trascurò completamente che Lutero aveva considerato invalido il concilio di Costanza e che i neocredenti rigettavano indubitati decreti di quel sinodo. Col bisogno che la Curia aveva di riforma l’inviato motivò la richiesta, che i vescovi dovessero venire sciolti dal giuramento prestato dal papa. Apertamente egli rigettò ogni autorità del papa, ciò che racchiudeva in sé il sovvertimento in linea di principio di tutto il sistema di governo della Chiesa osservato fino allora. Badhorn rivendicò al suo partito la suprema autorità; esso solo doveva decidere quanto la Chiesa attuale si fosse allontanata dall’antica. Dovevasi disputare di nuovo su tutti i dogmi già definiti dal concilio tridentino. Tale essere stato il sentimento della dieta di Augsburg allorché in nome di tutti gli Stati fu chiesta la continuazione del concilio interrotto a Trento. Tale nuova disamina essere necessaria perchè l’Elettore di Sassonia era persuaso che in quegli articoli, specie in quello sulla giustificazione, si contenessero molti errori, i quali andavano corretti mediante la Sacra Scrittura. La definitiva fissazione dovere intervenire mediante il parere di tutte le nazioni cristiane, i cui rappresentanti non avessero partecipato alle decisioni precedenti e senza le quali il concilio non poteva dirsi che particolare, non già ecumenico. 1 de Leva (V, 290) trova tuttavia che il contegno dei sassoni si svolse « in forma calma e rispettosa ! » Cfr. in contrario, il severo giudizio del contemporaneo Lippomano in Corp. dipi. Port. VII, 112. 2 Cfr. il nostro voi. I, 182 s.