386 .Marcello II e Paolo IV. 1555-1559. Libro II. Capitolo 3 6. dove Giovanni Carafa, già vestito del manto ducale ricamato in oro, si pose ai piedi del trono. Il papa lo benedisse, gli por^e spada e speroni, il berretto di velluto riccamente guarnito di perle e pietre preziose e lo scettro indorato. Per tre volte battè con la spada sulla spalla del nepote ricevendone giuramento di fedeltà e canone feudale. Dalla bolla d’infeudazione letta in modo piuttosto incomprensibile dal segretario Barengo i radunati colà udirono che il conte di Molitorio ed i suoi posteri erano elevati a duchi di Paliano e che il figlio maggiore - in questo caso Diomede - doveva portare il titolo di marchese di Cave. Il censo da pagarsi annualmente per la festa dei santi Pietro e Paolo era stabilito in 1000 ducati. Dopo questa funzione il nuovo duca, accompagnato dai grandi di Roma e da una parte delle truppe pontificie, recossi al Campidoglio, salutandolo presso Castel S. Angelo il tuono di tutte le artiglierie. La sera Roma era illuminata: in Vaticano ebbe luogo un banchetto, al quale oltre ai cardinali furono invitati anche gli inviati veneto e polacco. Levate le tavole, il papa in una allocuzione ai suoi ospiti fece rilevare come gli tornasse di speciale soddisfazione che precisamente nel mese e quasi nel giorno del Sacco di Roma del 1527 Iddio lo avesse ispirato a compiere quell’atto. «I vostri compatriotti, così egli, rivolgendosi ai cardinali Pacheco e Cueva, furono i ribaldi, che compirono quella scellerata azione». Il mattino seguente consegnerebbe la croce ai legati per la pace: nutrire sufficiente fiducia nel re francese. E rivolgendosi di nuovo ai cardinali spagnuoli proseguì: «Non so che sia da sperare dalla vostra gente: io voglio mettere in chiaro questo dubbio e non negligere il mio dovere ». Poscia il papa con il suo costume retorico si diffuse sui disgraziati tempi, in cui l’eresia metteva in pericolo sempre nuovi regni. L’inviato del re di Polonia, che ben comprese l’allusione al suo sovrano, si trovò imbarazzato non meno dei cardinali spagnuoli, che ardivano appena di alzare gli occhi. Dalla relazione dell’inviato veneto, che descrive questa penosa scena, sappiamo inoltre che alla firma della bolla d’infeudazione il cardinale Tournon osservò come in Francia la sua sottoscrizione sarebbe considerata invalida perch’egli non era stato chiamato a consiglio. Il cardinale Juan Alvarez de Toledo rifiutò la sua firma perchè non aveva preso parte alla riunione dei cardinali e poi considerava l’atto non giovevole nè alla Santa Sede, nè ai Carafa.1 1 Colla lettera di Navagero del 16 maggio 1556 (Brown VI 1, n. 484) cfr. anche Y* Avviso eli Roma dell’11 maggio 1556 (Cod. TJrb. 1038, p. 137 ss. B i-b 1 i o t e c a V a t i c a n a) e la * relazione di Camillo Paleotti del 13 maggio 1556 (Archivio di Stato in Bologna); v. anche Masitjs, Briefe 258; Cola Codeine, * Diario nella Biblioteca Chigi N. 11.32. Il testo della bolla d’infeu-dazione presso Passarini 197 ss.