314 Marcello II e Paolo IV. 1555-1559. Libro II. Capitolo 1. l’incaricò di terminare col suo dotto padre l’opera sulla correzione del calendario, che questi aveva già cominciata al tempo di Leone X. Al principio del 1525 Marcello ritornò a Roma col lavoro finito.1 Da Clemente VII, che vivamente interessavasi alla riforma del calendario, venne trattato con distinzione e più volte egli dovette assistere alle dotte disputazioni, che avevano luogo alla tavola del papa.2 Marcello approfittò con fervore per studii scientifici anche di questa dimora nell’eterna città visitando le biblioteche e conversando coi molti letterati e dotti, che vivevano in Curia. Fu allora, che con Lampridio, Tebaldeo, Lascari, Bembo, Angelo Colocci ed altri umanisti strinse intima amicizia,3 che indi in poi coltivò colla fedeltà che gli era propria. In seguito a queste relazioni ed allo speciale favore del papa sembrava sicuro che avrebbe ottenuto un onorevole ufficio in Curia, quando la comparsa della peste in Roma indusse il premuroso padre a richiamarlo in patria nel maggio del 1526.4 Marcello occupò l’importuno ozio con lavori letterarii. Tradusse in italiano il libro di Cicerone De Amicitia, come già prima aveva traslato in latino brani di Euclide e d’altri scrittori greci e composto una poesia su bagni ed acque salutari. Insieme aiutò il padre, che andava invecchiando, nell’amministrazione dei beni, addimostrandosi al pari di lui eccellente agricoltore, ma in una anche sollecito protettore dei poveri lavoratori.5 1 Cfr. Arch. stor. Ital. App. VII, 249, 254 s. e Marzi in Atti del Congresso stor. di Roma III ( 1906), 649. ¡Sulle profezie per il 1524 vedi le nostre notizie in IV 2, 246, n. 6. 2 Cfr. in Nuntiaturberichte V, xxm i passi comunicati da Cardauns da lettere del Cervini (Carte Cerv. nell'A rchivio di Stato in Firenze), che vennero ivi messe a contribuzione per la prima volta per la vita di lui. Alla domanda di Bitschbell ( Histor. Jahrbuch XXI, 423, n. 5) « se tutto l’archivio di famiglia sia passato a Firenze » va risposto in senso negativo, perchè nella B i-blioteca di Siena trovatisi parecchi manoscritti, che certamente provengono da quell’archivio, come in particolare Codex E. V. 18 e D. V. 13 cfr. Ilari, Bibl. di Siena VI, 274, 491). Essi vi pervennero certo coll’eredità dell’arcivescovo Aless. Cervini; cfr. Druffel, Mori. Trid. I, 4. L’ipotesi ivi proposta, che di proposito il Cervini consegnasse le sue carte ai parenti quando fu eletto papa, difficilmente è giusta. Il passaggio ai congiunti si spiega certo naturalissimamente col fatto che Marcello II morì prima d’aver potuto tradurre in atto la sua intenzione di riformare la Cancelleria pontificia (vedi Laemmer, Mon. Vati«. 461) con che era progettata anche una riforma delFArchivio. 3 Cfr. A. Cervini, * Vita di Marcello II. Biblioteca di Ferrara. 4 Secondo Pollidorus 12 Marcello avrebbe lasciato l’etema città dopo di avere lucrato in Roma l’indulgenza giubilare del 1525. Ciò è certamente errato poiché esiste una lettera di lui da Roma del 5 maggio 1526, dopo di che fino al 1528 tacciono le notizie documentarie (vedi Cardauns loc. cit. xxm). Il crescere della peste, che da A. Cervini (loc. cit.) è espressamente dichiarato come ragione del richiamo, può da Sanuto, Diarii XVI, 346 fissarsi per il tempo posteriore al 13 maggio 1526. 6 Vedi A. Cervini, * Vita di Marcello II ( Biblioteca di Ferrara). Sulla versione di Cicerone cfr. Pollidorus 13.