3*6 imprese, e cosi in questa occasione anche quella della Fenice. Non rimase dunque che la sola Rosina, cara Rosina, che quando la gente si pensava ch’ella avesse già dato fondo ad ogni sua ricchezza nel canto, ben in tale sera mostrò che le rimaneva in serbo ancora qual cosa ! Bisognava udire que’rapidi passaggi dalle più acute alle note più basse, nel primo tempo della cavatina, e la purezza e 1’ agilità di quella voce in quell’ Io sono docile., per conoscere che cosa è magistero e perfezione di canto! Nell’aria dell’amorosa lezione eli'aggiunse l’aria famosa del Tancredi, e tale fu la soavità ch’ella creò in quel concetto e coll’ atto della voce, e le maestre aggiunte ili alcuni modi e accidenti, che parve cosa nuova, cosa bellissima, non più udita. Certo cosi la sentiva nella sua ispirazione il Rossini! S’intende eh’a que’due luoghi il teatro fu levato si può dire a rumore e che ne chiese la replica. In nessuna sera ella cantò più poco quanto a parte, ma in nessuna forse meglio quanto a virtù. E quando parlo del canto intendo separar- lo dall’azione; nella quale ammiratore quale io sono di lei, a me parve in tal sera, e parve ancora a qualch’ altro, a lei stessa inferiore. Certo quella Rosina è maliziata, furbetta, ma la Ma-libran la fece furbetta un po’troppo : vi fu qual-